Il porto di Gallipoli nel 1790: la produzione dell’olio lampante

L’articolo è stato pubblicato su gentile concessione di BelSalento.com


Sin dal 1600 nel Salento l’olio di Gallipoli valeva come l’oro in quanto era il migliore del Mediterraneo; e per questo motivo dal Salento confluivano in Gallipoli tutti i produttori locali di sale, grano, vino, di sapone, di botti1, ma soprattutto di questo particolare tipo di olio lampante2, usato non per l’alimentazione ma per l’illuminazione cittadina; quest’olio veniva esportato via mare verso tutto il mondo conosciuto; tant’è che il porto di Gallipoli ebbe una importanza determinante e fondamentale per il commercio di questo prodotto nell’intero bacino del mediterraneo. Da questo porto per oltre duecento anni sono partite decine e decine di navi cariche di olio lampante verso i porti italiani di Genova, Venezia, Napoli… e da li verso Inghilterra, Francia, Olanda… e poi di porto in porto l’olio lampante gallipolino ha raggiunto tutto il mondo, dall’America alla Russia sino all’estremo Oriente. Ogni giorno decine di navi e bastimenti hanno caricato le loro capienti stive di quel prezioso oro liquido salentino, unico nel suo genere per la purezza della fiamma perché ambrato, trasparente e più luminoso degli altri tipi di olii; e dallo scalo gallipolino raggiungevano gli scali del Nord Europa e da lì le steppe della Russia.

Dipinto d'epoca raffigurante il porto di Gallipoli.

Dipinto d’epoca raffigurante il porto di Gallipoli.

Con la produzione ed esportazione di questo prodotto salentino, nel mondo estero si son potute illuminare le vie cittadine come le stesse abitazioni attrezzate da lampade nelle case della nuova borghesia dell’800 o i sontuosi candelabri dei palazzi e delle regge della nobiltà europea. Nei palazzi dei re e dei nobili il suo particolare bagliore tendente al bianco, naturalmente era molto più apprezzato rispetto a ogni altra illuminazione ad olio conosciuta. La sua gradevolezza era dovuta alla maggiore lucentezza e purezza. Cosa non da poco, dato che gli altri tipi di olii (di qualità inferiore) davano minor luce e avevano le sgradevoli caratteristiche di avere un perenne alone opaco giallognolo; ma avevano anche una fiamma continuamente tremula – mossa – per effetto delle qualità inferiori del tipo di olive impiegate, inoltre producevano molto fumo e l’odore anche impregnava gli ambienti per molto tempo. Inoltre le lampade cittadine di metà Ottocento, erano chiuse da vetri e la pulizia di ogni lampada era molto costosa. Pertanto l’uso dell’olio lampante di Gallipoli, che produceva minore fumo e maggiore illuminazione semplificava le stesse spese di manutenzione delle allora amministrazioni comunali di tutte le capitali europee.
Quindi la purezza della fiamma del nostro olio lampante gallipolino donava tutt’altra luce alla vista. Era di un tipo di olio particolarmente grasso (e per questo era usato per l’illuminazione cittadina di molte capitali d’Europa); ed era il migliore combustibile conosciuto giacché non solo produceva minor fumo e minori odori, ma anche aveva una fiamma luminosa, stabile ed allungata; caratteristiche che facevano di questo olio grasso salentino uno dei cardini del commercio del sud Italia; che era infatti acquistato dalle principali capitali europee come Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Stoccolma, Oslo, Amsterdam. Tutti i Paesi esteri con i quali Gallipoli commerciava il suo olio lampante avevano una loro rappresentanza nella cittadina salentina, al pari dei consolati. Ad esempio il 26 Marzo 1877 Vittorio Emanuele II di Savoia re d’Italia rilasciava la patente di nomina di vice console di Svezia e Norvegia ad un commerciante gallipolino tale Vincenzo Palmentola. E sino al 1923 per il commercio dell’olio lampante nella cittadina di Gallipoli esistevano dei vice consolati di Austria, Danimarca, Francia, Inghilterra, Norvegia, Olanda, impero Ottomano (Turchia), Portogallo, Prussia, Russia, Spagna, Svezia…

La patente di nomina di Vice Console rilasciata in data 30 marzo 1877 da Vittorio Emanuele II di Savoia a Vincenzo Palmentola.

La patente di nomina di Vice Console rilasciata in data 30 marzo 1877 da Vittorio Emanuele II di Savoia a Vincenzo Palmentola.

L’oro liquido di Gallipoli è stato un traguardo della tecnica, e il suo grande successo è stato favorito anche dalle condizioni ambientali: le vasche sotterranee dei frantoi e le pietre di decantazione dell’olio hanno forgiato un prodotto vincente, si direbbe oggi: il carparo, la temperatura fresca dei locali sotterranei, l’umidità e la salsedine proveniente dal mare, la qualità dell’aria sovrastante e l’esposizione del sole d’estate sulle piante – nonché l’amore dei lavoratori – hanno fatto degli ulivi, delle olive e della loro trasformazione in olio lampante, quel prodotto puro e lucente che fu apprezzato anche dagli Zar di Russia. E in Gran Bretagna veniva impiegato sia per l’illuminazione ma anche il sottoprodotto veniva acquistato per l’impiego nelle lanerie inglesi.
La città bella non produceva solo olio; ma anche botti dal legno stagionato in acqua salata per renderle più resistenti ai lunghi viaggi in mare. E con oltre 8.000 operai impiegati nei frantoi, la ricca cittadina del Salento vantava anche una attiva borghesia artigianale e commerciale che parlava tutte le lingue d’Europa, ben prosperosa e dal carattere internazionale, propensa anche alla ristrutturazione ed edificazione di nuovi luoghi di culto.
Il commercio di olio lampante era talmente imponente che la città di Gallipoli, oltre ad avere istituzioni consolari, intesseva rapporti internazionali di scambio merce, tant’è che ogni nave che attraccava per caricare olio importava varie merci da mezza Europa (Inghilterra in primis): vetri di Murano, vini esteri, formaggi della Baviera, porcellane di Limoges, vassoi di Sheffield… da Francia, Germania, da Venezia e Trieste.

Gallipoli settecentesca, in un'incisione dell'abate francese Jean-Claude Richard de Saint-Non.

Gallipoli settecentesca, in un’incisione dell’abate francese Jean-Claude Richard de Saint-Non.

Dicevamo che la lavorazione delle olive avveniva in frantoi sotterranei dove veniva prodotto sia l’olio lampante ma anche quello da cucina; e se le ultime olive spremute davano origine all’inchiostro, va aggiunto che inoltre non si buttava nulla: e dal sottoprodotto della macinazione e torchiatura di quelle stesse olive si creava anche un  altro prodotto, un particolare tipo di sapone, il famoso sapone di Marsiglia che fu ampiamente impiegato nei numerosi lanifici locali ed esteri. Infatti molti ignorano che il sapone definito di Marsiglia, sia nato proprio a Gallipoli e che solo in un secondo momento verrà poi prodotto nella zona di Marsiglia dove diventerà… più famoso; invero nel Salento, in Gallipoli, già nel 1600 avevano scoperto che la miscela di soda con lo scarto ottenuto dalla spremitura delle olive dava una soluzione liquida che solidificata era un sapone appunto, molto gentile con la pelle e con i tessuti per la presenza del grasso di sodio di olive. Quindi un sapone vegetale e naturale (al 100%) che veniva impiegato nei lanifici per immersione e nella cura della persona per ogni tipo di pelle : secca, disidratata, soggetta ad arrossamenti.
Nel 1836 Bartolomeo Ravenna descriveva l’attività produttiva del sapone della città jonica in “Memorie istoriche della città di Gallipoli” e scriveva:3

Le fabbriche di saponi bianchi duri formano un altro ramo d’industria, sufficiente al sostentamento degl’individui che travagliano, e dei proprietarj che le tengono stabilite; contandosi in oggi circa venti saponiere. Consumano queste una parte delle molte legna, che tagliansi annualmente rimondando i nostri uliveti. Oltre dè fabbricanti, impiegan pure l’opera loro molti altri, quelli che girano pel territorio e nei paesi adjacenti, acquistando cenere, e quelli dei littorali e nella stagione estiva raccolgono e bruciano l’alga, per avere la cenere; quelli che annualmente s’impegnano a formare delle calcare, essendo necessaria della molta calcina per la lisciva e sia ranno; e finalmente quelli, che acquistando del sapone in Gallipoli, lo portano a vendere in dettaglio né vari paesj della Provincia“.

Per concludere questa prima parte introduttiva, Londra nella sua storia ha avuto grandissimi rapporti commerciali con il Salento; rapporti che sono perdurati alcuni secoli. Esiste un saggio di Nicolette S. James4, sulla vita consolare inglese in Gallipoli di alcune famiglie: gli Stevens ad esempio, lungo tre generazioni. Sin dal 1700 a Gallipoli vissero anche i Macdonalds, di origini scozzesi ma naturalizzati inglesi. Nicholas Macdonalds sposò Marianna Caracciolo ed era uno dei traduttori nelle transazioni commerciali dell’olio lampante. Da tutte queste note apprendiamo  infine anche che le navi di trasporto del lampante verso il Nord Europa erano quasi tutte inglesi, le quali approdavano nei porti di Liverpool, Dordrecht Falmouth, Stettino, Amburgo, Pietroburgo e Nizza.
Poi con l’arrivo dell’elettricità di metà ‘800 terminò l’uso dell’olio salentino per illuminare le strade delle metropoli europee. Con la conseguente crisi dell’esportazione dell’olio lampante.


Note:

1 Utte te Caddhripuli, vinu te Sava. (traduzione: “Botti di Gallipoli e vino di Sava.”)
Le pregiate e rinomate botti di Gallipoli, vantavano una fiorente maestranza di maestri bottai, una attività artigianale del porto gallipolino che assicurava le provvigioni di vino e olio (da tavola e olio lampante per l’illuminazione cittadina e privata). Le botti dei circa 600 bottai gallipolini partivano dal porto di Gallipoli con numerose navi, cariche d’olio e di vino, per Genova e Venezia. Questi artigiani bottai edificarono una cappella dedicata a San Gabriele Arcangelo.
Il vino pregiato e dalla alta qualità e gradazione, era quello nero di Sava che “macchiava le tovaglie”
2 La lavorazione dell’olio in Gallipoli risale a vari secoli or sono, già nel 1600 si avevano commerci con paesi esteri; sempre in quel periodo florido ogni giorno centinaia di navi affollavano quel porto, provenienti da quasi tutta Italia e dall’Olanda, dall’Inghilterra e dalla Russia … Vigeva anche il baratto e fra le merci di scambio vi erano “schiavi” provenienti probabilmente da paesi musulmani; “oppio” che veniva impiegato principalmente nella medicina di quei tempi; ma anche “spezie e semi“, utensili, e venivano importate soprattutto parole nuove e la stessa Gallipoli era una cittadina internazionale, dove si parlavano le lingue di mezzo mondo; … e non è affatto azzardato sostenere che Gallipoli in quell’era fosse concretamente al “centro del mondo” … prima dell’avvento del mondo moderno.
3 Bartolomeo Ravenna, Memorie istoriche della città di Gallipoli
4 Nicolette S. James, Inglesi a Gallipoli. Sofia Stevens (1845-1876), Del Grifo Editori, 1993

BelSalento

Author: Giovanni Greco

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