Il Talleyrand del fascismo

Nell’opera Dipende il giornalista e scrittore italiano Luca Goldoni aveva trascritto una propria riflessione:

Abbiamo saputo che Ciano era spesso contrario alle decisioni di Mussolini, perché lo aveva confidato al suo diario segreto. Se lo avesse pubblicato subito, ci avrebbe rimesso il posto ma forse le cose sarebbero andate diversamente.

Galeazzo Ciano, conte di Cortellazzo e Buccari,nato a Livorno il 18 marzo 1903 e morto a Verona l'11 gennaio 1944.

Galeazzo Ciano, conte di Cortellazzo e Buccari,nato a Livorno il 18 marzo 1903 e morto a Verona l’11 gennaio 1944.

Effettivamente Gian Galeazzo Ciano, nonostante avesse sempre dimostrato una profonda stima per il suocero, negli ultimi anni del regime fascista iniziò a maturare una convinzione assai personale, diversa da quella del Duce. Affascinato dalla Francia e convinto filoinglese – come lo ricorderà la moglie Edda Mussolini –, negli anni del suo ministero fu senza dubbio uno dei personaggi di spicco del Partito Nazionale Fascista. Aldilà della stretta parentela che lo legava al Duce, era considerato da molti come il catalizzatore del regime, e da quando venne nominato Ministro degli affari esteri fu chiaro fin da subito che poteva essere considerato il delfino politico del suocero, nonostante l’ambiguità e la volubilità che caratterizzavano lo stesso Mussolini. Infatti era proprio l’assunzione di questo incarico a valorizzare una simile ipotesi: il Duce era solito assumere gli incarichi dei più influenti dicasteri ministeriali ad interim, che se non altro gli servivano per una gestione diretta e assoluta sulla vita politica, economica e militare del Paese.

Ma l’ultimo cambio della guardia, quello del febbraio 1943, segnalava un drastico cambiamento, e metteva sotto una luce sinistra i rapporti tra il genero e il suocero, che andavano sempre più ad incrinarsi fino a giungere al tragico epilogo di Verona dell’11 gennaio 1944, quando il nonno fece fucilare papà (riportando il titolo del libro scritto da Fabrizio Ciano, figlio del conte e nipote del Duce). Intanto nei suoi diari segreti Ciano si mostrava sempre più critico nei confronti del suocero, degli apparati istituzionali a lui asserviti e degli alleati tedeschi.

Mentre l’organo di stampa, l’Agenzia Stefani – diretta in quel tempo da Roberto Suster e con presidente un fedelissimo del Duce, Manlio Morgagni –, proponeva facili congetture circa la conferenza di Casablanca alle varie testate giornalistiche nazionali, il 26 gennaio 1943 Ciano riportava nel suo diario una nota al quanto critica:

Giunge notizia della conferenza di Casablanca. Troppo presto per dare un giudizio, ma sembra una cosa seria, molto seria. Non condivido né approvo le facili ironie della nostra stampa.

Von Ribbentrop, Ciano e Hitler.

Von Ribbentrop, Ciano e Hitler.

Inoltre il conte si era da sempre dimostrato scettico alle lusinghe tedesche, e questo suo scetticismo, anche grazie alla sua attività nel Ministero per gli affari esteri, si era maturato in un’accanita avversione nei confronti del futuro alleato tedesco, nonostante fosse stato proprio lui a sottoscrivere il Patto d’acciaio con la Germania nazista. Dai diari emergono molti riferimenti a questa sua profonda avversione. Successivo alla data della sua cattura, nel dicembre 1943, scrisse delle note introduttive alle sue memorie:

L’alleanza era stata firmata nel maggio. lo l’avevo sempre avversata ed avevo fatto in modo che le persistenti offerte tedesche fossero per lungo tempo rimaste senza seguito. Non vi era – a mio avviso – nessuna ragione per legarci – vita e morte – alla sorte della Germania nazista. Ero stato invece favorevole ad una politica di collaborazione perché, nella nostra posizione geografica, si può e si deve detestare la massa di ottanta milioni di tedeschi, brutalmente piantata nel cuore dell’Europa, ma non si può ignorarla. La decisione di stringere l’alleanza fu presa da Mussolini, all’improvviso, mentre io mi trovavo a Milano con Ribbentrop. Alcuni giornali americani avevano stampato che la metropoli lombarda aveva accolto con ostilità il ministro tedesco e che questa era la prova del diminuito prestigio personale di Mussolini. Inde ira [da ciò l’ira]. Per telefono ricevetti l’ordine, il più perentorio, di aderire alle richieste tedesche di alleanza, che da più di un anno avevo lasciato in sospeso e che pensavo di lasciarcele per molto tempo ancora. Così nacque il Patto d’acciaio. E una decisione che ha avuto influenze tanto sinistre sulla vita e sul domani dell’intero popolo italiano è dovuta, esclusivamente, alla reazione dispettosa di un dittatore contro la prosa, del tutto irresponsabile e senza valore, di alcuni giornalisti stranieri.

Tra l’11 e il 13 agosto 1939 scriveva del suo incontro col ministro degli esteri nazista, von Ribbentrop, descritto precedentemente come un uomo vanesio, leggero, loquace:

Ritorno in Germania. Von Ribbentrop è sfuggente ogni qual volta chiedo particolari sulla prossima azione tedesca; egli ha la cattiva coscienza. Troppe volte ha mentito circa le intenzioni germaniche verso la Polonia, per non sentire il disagio di quanto deve dirmi e di quanto si appresta a fare. La volontà del combattimento è implacabile. Egli respinge ogni soluzione che possa dare soddisfazione alla Germania ed evitare la lotta. La nostra conversazione assume talvolta toni drammatici, non esito a dire il mio pensiero nella forma più brutale. Mi rendo conto che non c’è più niente da fare: la Germania ha deciso di colpire, e colpirà. Le nostre argomentazioni non possono valere minimamente affermate. Sono disgustato dalla Germania, dei suoi capi e del loro modo di agire. Ci hanno ingannato e mentito, e oggi ci stanno per tirare in un’avventura che non abbiamo voluto.

Il 31 dicembre 1939, quando ormai era già scoppiato il conflitto a causa dell’aggressiva politica estera nazista, e mentre l’Italia manteneva l’ambigua posizione di non belligeranza, Ciano riportò sul diario un suo personale pensiero, che nel giugno 1940 sarà vanificato dal Duce:

La guerra a fianco della Germania non deve farsi e non si farà mai: sarebbe un crimine e una idiozia. Contro, non ne vedo per ora le ragioni. Comunque, caso mai, contro la Germania. Mai insieme. Questo è il mio punto di vista. Quello di Mussolini è esattamente il contrario: mai contro e, quando saremo pronti, insieme per abbattere le democrazie, che, invece, sono i soli Paesi con cui si può fare una politica seria e onesta.

Ormai nel 1943 la guerra era giunta in uno stato avanzato, e si delineava sempre più il tragico epilogo per le sorti italiane. Il 13 gennaio il conte Ciano ebbe modo di tenere un colloquio con monsignor Giovanni Battista Montini nella casa dei principi Colonna. Quest’ultimo riassunse in una nota quanto gli era stato riferito dal Ministro degli Esteri:

Di tutto il colloquio le cose più notevoli sembrano essere il suo desiderio di farsi conoscere benpensante e contrario alla guerra; la sua persuasione che la Germania ha voluto la guerra; che non era necessario per l’Italia entrare in guerra: poteva evitarlo.

Ma prima che venisse confermato il cambio della guardia, in data 5 febbraio, Ciano venne fatto chiamare da Mussolini, il quale gli annunciò la sua scelta di sollevarlo dall’incarico.

Che cosa desideri fare adesso?

Questa fu la domanda posta dal suocero al genero, prospettandogli tre possibili incarichi: ambasciatore presso la Città del Vaticano, ambasciatore a Madrid o Luogotenente in Albania. Tuttavia l’ex ministro degli esteri si dimostrò interessato a rimanere nell’orbita della politica italiana: infatti la prima ad essere esclusa fu l’ipotesi madrigale. Di seguito fu respinta anche la luogotenenza in Albania, nonostante fosse all’epoca una colonia italiana. Gian Galeazzo Ciano annoterà nel suo diario la seguente riflessione che lo portò a rifiutare l’ipotesi albanese:

“[In Albania] andrei a fare il fucilatore e l’impiccatore di coloro cui promisi fratellanza e parità di diritti.

Dunque l’unica proposta veramente allettante e consona alle sue esigenze fu proprio l’incarico di ambasciatore presso la Santa Sede, considerata da egli stesso come:

Un posto di riposo, che però può lasciare adito a molte possibilità per l’avvenire.

Raffaele Guariglia, ambasciatore italiano presso la Santa Sede dal 1942 al 1943.

Raffaele Guariglia, ambasciatore italiano presso la Santa Sede dal 1942 al 1943.

Si preoccupò personalmente di inoltrare la richiesta di gradimento alla Segreteria di Stato Vaticana, anticipando così la volubilità del suocero. Infatti la mattina seguente Mussolini gli telefonò comunicandogli la sua idea di volerlo destinare altrove, ma Ciano ribatté che ormai era troppo tardi. Si trattava del quarto cambio in due anni e mezzo, e ciò non piacque alla Santa Sede, dove Pio XII si lamentò per l’ennesima variazione, giudicando tale comportamento irriguardoso nei confronti del soglio pontificio, in quanto era dal giorno della sottoscrizione dei Patti lateranensi (11 febbraio 1929) che il Vaticano non aveva cambiato il nunzio presso il Quirinale.

Qualche giorno dopo avvenne il cambio delle consegne tra Ciano e Raffaele Guariglia. Quest’ultimo ricopriva la carica di ambasciatore presso la Santa Sede dal 1942, e in lungo e spinoso colloquio tenuto col conte, circa la tragica situazione italiana e sull’assoluta necessità di far uscire il Paese dal conflitto, l’ex ambasciatore confiderà a Ciano:

Bisognerà salvare l’Italia. Ci metteremo all’opera io e pochi altri, anche tu dovrai collaborare. Forse ci rivedremo tutti a Lisbona!

Prima di congedarsi dall’incarico ed essere destinato all’ambasciata italiana di Ankara, Guariglia ebbe modo di tenere un colloquio con il nuovo Sottosegretario agli Esteri, Giuseppe Bastianini, ricordandogli di prendere in considerazione una possibile mediazione del Vaticano per raggiungere degli accordi di pace tra l’Italia e gli Alleati. Nel delineare tale prospettiva risultava determinante la figura del conte Ciano. Tuttavia in un dispaccio del 13 febbraio inviato al segretario di Stato statunitense Cordell Hull, il rappresentante dell’ambasciatore straordinario in Vaticano, Harold Tittman, formulava alcune ipotesi sul cambio della guardia voluto da Mussolini:

Quale di queste congetture possa essere vera, e fino al momento presente sono solo congetture, è difficile evitare la sensazione che la presenza di Ciano in Vaticano abbia qualcosa a che fare col desiderio di pace degli italiani. Si osserva che come risultato dei recenti cambiamenti ministeriali, che hanno portato alla eliminazione di tutti i fascisti influenti, Mussolini ha le redini nelle proprie mani più fermamente che mai ed è ora in grado di consegnare gli affari del Paese a un governo di pace senza opposizione, in qualsiasi occasione si presenti. La recente nomina del generale Ambrosio, un moderato e uno stretto collaboratore del maresciallo Badoglio come capo dello Stato Maggiore Generale in successione del generale Cavallero, viene considerata come un’altra indicazione in questo senso.

Lord Francis D'Arcy Godolphin Osborne, ambasciatore britannico presso la Santa Sede. Fu in contatto con monsignor Montini per l'apertura dei primi canali per la trattativa dell'armistizio. Collaborò con monsignor Hugh O'Flyherty nella protezione di migliaia di ebrei italiani.

Lord Francis D’Arcy Godolphin Osborne, ambasciatore britannico presso la Santa Sede. Fu in contatto con monsignor Montini per l’apertura dei primi canali per la trattativa dell’armistizio. Collaborò con monsignor Hugh O’Flyherty nella protezione di migliaia di ebrei italiani.

Le dichiarazioni di Tittman trovavano un’ulteriore conferma nel dispaccio inglese del 24 febbraio 1943, nella quale Sir Robert Anthony Eden, il segretario di Stato per gli Affari Esteri, dava l’ordine all’ambasciatore britannico in Vaticano, Lord Francis D’Arcy Godolphin Osborne, di evitare nella maniera più assoluta ogni tipo di contatto col nuovo ambasciatore italiano, ovvero Galeazzo Ciano. In realtà il conte – benché ci sono poche fonti che attestano una sua attività clandestina – si era messo in contatto con gli ambienti ostili alla politica del Duce: non solo fascisti dissidenti, ma anche antimussoliniani e antifascisti. Filippo Anfuso, che fu Capo di gabinetto del Ministro degli Esteri a partire del 1938, come Ciano era un convinto assertore dello sganciamento dell’Italia dalla Germania, e in occasione di una sua visita vaticana, ritraeva così il conte livornese:

Era in casa, con una malattia politica, appesa ai numerosi fili delle numerose congiure. Era immerso fino al collo in tante trame antifasciste, antimonarchiche e antitedesche al punto di non di riuscire più a capire chi partecipasse a una cospirazione, e a quale.

Anche Mario Luciolli, diplomatico già in servizio al Gabinetto del ministro degli Esteri, che anche lui si era recato in visita da Ciano, aggiunge un’altra descrizione del nuovo nunzio presso la Santa Sede:

Ai primi di aprile andai all’ambasciata presso la Santa Sede per accomiatarmi da Ciano. Lo trovai più antitedesco che mai, più convinto che mai della sconfitta, e più illuso che mai di potere essere il Talleyrand del fascismo e cioè di potere, in rapida successione, concorrere alla caduta del regime e negoziare con la vittoriosa coalizione nemica per ottenere condizioni di pace non troppo onerose.

Circa un mese dopo un rapporto dell’Abwehr segnalava da Berna che lo stesso Ciano aveva avviato una trattativa di pace con gli Alleati, tramite il rappresentante svizzero in Vaticano. Tuttavia il Talleyrand del fascismo non riuscì a siglare l’accordo per un’eventuale armistizio, nonostante pare fosse coinvolto anche il re Vittorio Emanuele III. E fu proprio il massimo esponente di Casa Savoia a fare in modo che gli accordi si arenassero, respingendo la richiesta alleata, come condizione preliminare alle trattative, di sollevare il Duce dall’incarico di Capo del governo. Tuttavia la decisione sabauda, che sarà successivamente smentita nel luglio 1943, è un lampante esempio di come in quel tempo l’Italia fosse divisa in due poteri istituzionali, in una sorta di diarchia: quella del regime fascista e quella della monarchia savoiarda.

Author: Alessio Sacquegna

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