La speculazione edilizia e il coraggio di Renata Fonte

“Alzare gli occhi dal libro […] e ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio – il muro, il fico, la noria, le canne, la scogliera – […] sapeva già tutto a memoria: eppure, continuava a cercare di far nuove scoperte […].
Però ogni volta c’era qualcosa che gli interrompeva il piacere di quest’esercizio e lo faceva tornare alle righe del libro, un fastidio che non sapeva bene neanche lui. Erano le case: tutti questi nuovi fabbricati che tiravano su, casamenti cittadini di sei otto piani, a biancheggiare massicci come barriere di rincalzo al franante digradare della costa, affacciando più finestre e balconi che potevano verso mare. La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera: là vedevi il palazzo già abitato, con le cassette dei gerani tutti uguali ai balconi, qua il caseggiato appena finito, coi vetri segnati da serpenti di gesso, che attendeva le famigliole lombarde smaniose dei bagni: più in là ancora un castello d’impalcature e, sotto, la betoniera che gira e il cartello dell’agenzia per l’acquisto dei locali.”

Italo Calvino, La speculazione edilizia.

Era il 1963 quando Italo Calvino, scrivendo il romanzo “La speculazione edilizia”, denunciava la triste tendenza cementificatoria che stava invadendo la sua cara Liguria. Ma non  è solo la Liguria ad aver fatto i conti col cemento. Stesso epilogo subirono ad esempio le località siciliane, come Cinisi. Risale infatti a qualche anno dopo il celebre discorso di Peppino Impastato sulla “bellezza”, noto ormai quasi a tutti.
Campania, Puglia e gran parte dell’Italia, dal versante jonico a quello adriatico; stiamo parlando degli anni ’60 – ’70, anni in cui questa malattia era considerata quasi come una moda, come segno di progresso. Ma anche al giorno d’oggi sembra non esserci alcuna tregua dagli abusivismi e dalle speculazioni di ogni genere, che invadono i nostri mari, distruggono le nostre campagne e stravolgono la naturale bellezza dei luoghi in nome di un presunto sviluppo o di una presunta “strategicità”.
Ma spostiamoci ora nel nostro Salento, in terra d’Arneo, e precisamente in un luogo che ha rischiato di trasformarsi in una copia identica alle descrizioni precedenti. Stiamo parlando di Porto Selvaggio (Nardò) e del coraggio di una donna che ha lottato affinché questo non avvenisse.
Son passati ormai trentuno anni dalla morte di Renata Fonte, una donna conterranea, madre, insegnante e amministratrice, che fu assassinata il 31 marzo 1984 per mano mafiosa, mentre raggiungeva la sua abitazione e le sue due bambine.  Il suo nome è oggi noto per il suo amore mostrato verso il proprio territorio, nonché per il suo coraggioso impegno nel contrastare il malaffare delle mafie e delle speculazioni. Un po’ come un altro amministratore italiano, il sindaco “pescatore” di Pollica, Angelo Vassallo, assassinato nel 2010 per presunta mano camorristica e per motivi decisamente analoghi.

Renata Fonte.

Renata Fonte.

Nata il 10 marzo del 1951 a Nardò, Renata Fonte fu una giovane insegnante delle Scuole Elementari cittadine che divenne la voce principale del “Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio”. All’epoca, il parco di Porto Selvaggio non era ancora un Sito di Interesse Comunitario (SIC) e, pertanto, privo di difesa e di riconoscimento ambientale, fu individuato come area idonea per degli  oscuri progetti di lottizzazioni edilizie, rischiando di divenire una vera e propria colata di cemento ben diversa da come noi oggi la vediamo. Le battaglie di Renata Fonte e del Comitato nacquero, quindi, dalla volontà di impedire lo stupro ambientale di uno dei luoghi più suggestivi del Salento e della terra d’Arneo, quale è appunto Porto Selvaggio.
L’anno seguente, Renata Fonte decise di candidarsi alle elezioni amministrative nelle file del PRI – Partito Repubblicano Italiano – e divenne la prima Consigliere ed Assessore che il PRI avesse mai conosciuto a Nardò, con delega alla Cultura e alla Pubblica Istruzione. Oltre ad esser una delle poche donne elette in politica, il consenso ottenuto fece sì da poter scavalcare politicamente Antonio Spagnolo (il primo dei non eletti PRI), un noto personaggio locale conosciuto come “procuratore di pensioni per finti invalidi” del quale la stessa Fonte aveva consigliato la non candidatura, oltre che l’espulsione dal partito.
Siamo nei primi anni ’80, anni difficili per la politica locale (ma anche nazionale), che deve confrontarsi quasi quotidianamente con il potere della criminalità organizzata. Il Salento e gran parte della Puglia dovevano fare i conti con la Sacra Corona Unita, che fruttava i suoi interessi economici proprio in queste terre. Ci sono in ballo miliardi di vecchie lire e la regola ferrea è “adeguarsi”. Per chi si oppone non ci sono scrupoli.
Alcune testimonianze rivelano che qualche giorno prima del suo assassinio, nelle aule comunali, la donna incontrò un uomo che le chiedeva apertamente di non opporsi alla delibera prevedente l’assembramento nel piano regolatore di 70 ettari di terreno agricolo attigui al cuore di Porto Selvaggio. La Fonte, secondo una possibile ricostruzione, non accettò e minacciò lo scandalo con forza e tenacia.
Questa coraggiosa fermezza nel perseguire i suoi ideali e nel combattere – spesso da sola – qualsiasi forma di ingiustizia, probabilmente, costò la vita alla giovane donna. All’uscita da un Consiglio Comunale, la notte fra il 31 marzo e il primo di aprile del 1984, a pochi passi dall’uscio di casa, due sicari spararono tre colpi di pistola contro la donna, stroncando definitivamente la sua giovane vita.
La cinematografia che racconta la mafia in chiave romanzata ci ha quasi abituati a pensare che “la mafia non tocca mai le donne e i bambini”, ma l’assassinio di questa donna di appena 33 anni, che ha dovuto lasciare due figlie ancora piccole (Sabrina e Viviana), è l’ennesima prova che questo presunto “codice d’onore” mafioso è un mito televisivo tutto da sfatare.
È un omicidio che colpisce l’opinione pubblica nazionale, ai funerali partecipò anche l’allora Ministro Giovanni Spadolini.
Attraverso le indagini della Magistratura si individueranno in seguito gli assassini materiali, Marcello My e Giuseppe Durante, gli intermediari, Mario Cesari e Pantaleo Sequestro,  e il mandate di primo livello, ovvero il prima citato Antonio Spagnolo, primo tra i non eletti e subentrato in seguito alla morte della Fonte.
Come purtroppo spesso accade, però, la giustizia trionfa sempre a metà.  La Corte d’Assise di Lecce ha dichiarato infatti la presenza di ulteriori personaggi, non identificati, che avrebbero avuto – insieme a Spagnolo – obiettivi non raggiungibili con l’elezione di Renata Fonte.
Tuttavia, se oggi Porto Selvaggio è un parco naturale, oltre che un’importante meta turistica, lo è grazie all’apposita legge di tutela ambientale che Renata Fonte riuscì a far emanare dalla Regione Puglia. Il territorio complessivo del “Parco Naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano” si estende nella costa jonica del Salento per ben 1122 ettari, 300 dei quali sono ricoperti da una fitta pineta di pini d’Aleppo. L’area costiera, caratterizzata da frastagliate rocce affioranti, vede l’alternanza di tre splendide torri costiere edificate durante il periodo spagnolo di Carlo V (Torre dell’Alto, Torre Uluzzo e Torre Inserraglio) e vanta la presenza di importanti siti storici e ambientali, come la Palude del Capitano, la Grotta del Cavallo, risalente a circa 35.000 anni fa, quella di Capelvenere, il Riparo Zei, il sito di Serra Cicora, risalente al VI a.C., ed altri siti di età romana imperiale.

Porto Selvaggio (Nardò).

Porto Selvaggio (Nardò).

A sorvegliare lo splendido luogo oggi vi è la targa che intitola il parco a Renata Fonte. Questa targa, posta in uno dei punti più alti del parco, ci trasmette non solo la memoria di questa triste vicenda, non solo l’importanza di questo “pericolo scampato”, ma anche e soprattutto l’importanza di denunciare sempre, con coraggio e con forza, tutte le forme di corruzione.
L’omertà ci fa morire soli, ma l’interesse collettivo ci rende forti e, dinanzi a tale forza, non c’è alcuna mafia o speculazione che regga. In fin dei conti, parafrasando Don Luigi Ciotti, una società sana non dovrebbe avere bisogno di singoli “eroi” che si sacrificano per il bene di tutti, ma di una collettività di “uomini giusti” che si impegnano insieme e contribuiscono al cambiamento.

Porto Selvaggio a Renata Fonte.

Porto Selvaggio a Renata Fonte.

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

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