L’architettura Liberty nel Salento

Il Salento non è solo Barocco, c’è infatti una produzione architettonica meno nota, ma al contempo molto diffusa, che ha lasciato testimonianze ricche nell’edilizia civile e rurale. Quest’architettura, risalente nel periodo compreso tra fine ‘800 e i primi del ‘900, è un genere liberty un poco “ritardato” rispetto alle altre esperienze europee.

Salice Salentino: particolare di un villino con decori lapidei, pannelli cementizi policromi e pittura su intonaco.

Salice Salentino: particolare di un villino con decori lapidei, pannelli cementizi policromi e pittura su intonaco.

L’architettura “liberty”, molto usata in Italia e in Europa, si sviluppa a cavallo della Rivoluzione Industriale con l’intento di rendere esteticamente validi quegli oggetti di uso comune che le industrie vanno diffondendo sempre più, con il rischio altrimenti di un appiattimento e di una banalizzazione dovuti alla produzione in serie. In Italia, l’architettura liberty è definita anche “stile floreale” per indicare che la decorazione è prevalentemente costituita da forme stilizzate tratte dai fiori. La morbida linea curveggiante e simbolica, il decorativismo floreale fine a se stesso e la disposizione planimetrica sono elementi comuni all’architettura liberty, così come la pittura, la scultura e le arti minori ad essa collegate. Il liberty si assume quindi quel compito di trasformare la più anonima scatola abitativa in uno spazio magico, assolutamente trasfigurato da una decorazione dilagante che copre interamente pareti, soffitti e pavimenti.
Nel Salento, nei primi anni del secolo scorso, l’adesione al nuovo stile è legata alle vicende della vita sociale ed economica locale nonché alla presenza sul territorio di personalità e di aziende di spicco che diffusero questa “arte nuova” attraverso le loro capacità progettuali e architettoniche, le ricerche e le sperimentazioni sui nuovi materiali, i disegni industriali e le produzioni in serie. Anche il liberty salentino è caratterizzato essenzialmente da motivi floreali e da moreschi che s’intrecciano a modelli medievali, rinascimentali e neoclassici. Questa modalità d’intendere il modernismo europeo si traduce, in buona sostanza, in una sorta di eclettismo che mette insieme i modi delle culture “locali” con quelle del nouveau internazionale, con esiti quanto mai diversificati, che giustificano la catalogazione di tipologie ibride come il liberty-barocco, il liberty-medievale, il liberty-neogotico, il liberty-neoclassico, il liberty-arabizzante, ecc. Ma la vera caratterizzazione del liberty salentino sta nei capitelli, nelle mensole, nei mosaici, negli arabeschi e negli stemmi araldici che, oltre a quest’arte nuova, rivelano al contempo anche una specifica continuità col passato, con l’attività artigianale locale e con l’uso costante delle principali risorse locali: ovvero la pietra leccese, il carparo e il tufo giallo. Anche i mobili sono spesso parte integrante dell’architettura liberty, non si isolano ma si incollano alle pareti in una vera “architettura nell’architettura”, che si articola e si coordina con i colori e le forme di tutto l’ambiente.

Veglie: villino neomoresco.

Veglie: villino neomoresco.

Il liberty salentino vede una sua massiccia diffusione legata soprattutto allo sviluppo di architetture suburbane, per lo più villini, destinate a dimora stagionale e utilizzate nelle località marine. Esiste inoltre una produzione “minore” di architetture e manufatti liberty che riguarda essenzialmente piccole casine di campagna, o piccole architetture civili, nelle quali sono rintracciabili deboli elementi stilistici riconducibili al nuovo gusto ed alla nuova moda imbrigliati, a volte goffamente, nella mediterranea solidità materica del costruito della tradizione locale.
Molti palazzi leccesi e ville residenziali sparse nella provincia conservano tracce di questo “nuovo” gusto nei decori interni ed esterni. Ciascuna esperienza è sostanzialmente legata al gusto dell’architetto e alla sua propria cultura, dalla quale ne discende la sua capacità di inventare plausibili armonie fra lo stile della tradizione e lo stile della rivoluzione industriale. La diffusione dell’architettura liberty nel Salento, infatti, è strettamente legata all’operato professionale di ingegneri, architetti ed artigiani operanti sul territorio.
Tra le figure professionali, si pensi all’arch. Carlo Luigi Arditi, che ha molto lavorato a Presicce, sua città natale, a S. Maria di Leuca, a Nardò e a S. Cesarea Terme. Ma anche ad altri professionisti come l’ing. Giuseppe Ruggeri, l’ing. Rossi, l’arch. Generoso De Maglie, l’arch. Mashicesky, l’arch. Barlingeri, l’arch. Francesco Caroli e l’arch. Ciro Castrignanò, solo per citarne alcuni, che hanno fortemente impresso questo stile in varie parti del Salento.

San Cesario di Lecce: villa Terragno.

San Cesario di Lecce: villa Terragno.

Varie ditte artigiane, inoltre, iniziarono ad operare sul territorio, sfruttando procedimenti più o meno industrializzati, nonché nuove tecniche e nuovi materiali per la realizzazione di pavimentazioni, rivestimenti, fregi, manufatti scultorei e decorativi: si ricordi, ad esempio, la ditta dei fratelli Peluso, che nel 1888 impiantò a Lecce un opificio nel quale sarebbero state sperimentate nuove tecniche sui conglomerati cementizi.
Dagli anni venti in poi va sempre più diffondendosi l’uso di tecniche costruttive nuove. Iniziano ad essere adoperate e sperimentate nuove strutture di solai, con travi in ferro a doppia T e voltine in tufo locale o tavelle/tavelloni in laterizio, secondo le più disparate tecniche e/o brevetti. Inizia a diffondersi anche la tecnologia costruttiva del cemento armato, ancora tutta da perfezionare, ma che avrebbe garantito di qui in avanti la realizzazione di un numero crescente di strutture intelaiate e sempre più complesse. Si diffonde l’uso di decorazioni pavimentali derivate dalla tecnica del pavimento inseminato alla veneziana. Vengono prodotte in serie pavimentazioni decorate in cemento realizzate mediante elementi modulari con i quali comporre disegni geometrici o floreali di dimensioni variabili e si diffonde, inoltre, una produzione di elementi architettonici o scultorei, realizzati in cemento mediante calchi, che poi subiscono un trattamento superficiale di finitura ad opera di artigiani scultori.
Negli anni a cavallo dell’inizio del secolo scorso si assiste ad una progressiva diffusione di queste architetture che caratterizzano in alcuni casi l’immagine di intere porzioni della città: si pensi a S. Maria di Leuca, a S. Cesarea Terme e a Nardò (in località “Cenate“).
Santa Maria di Leuca è ricca di ville ottocentesche dallo stile liberty. La prima fu Villa Romasi (realizzata nel 1700), ma quando Santa Maria di Leuca cominciò ad essere residenza estiva dell’aristocrazia pugliese, dopo la metà dell’Ottocento, sorsero sempre più ville nei punti panoramici della località. L’apice si ebbe tra il 1874 e il 1882 quando, ad opera dell’ing. Giuseppe Ruggeri, dell’ing. Rossi e dell’architetto Arditi, sorsero ben 36 ville tutte con stile diverso tra loro: dallo stile francese a quello toscano, dal gotico allo ionico, dal cinese al pompeiano. Di quelle meglio conservate fino ai giorni nostri, si ricordano Villa Ruggeri (che prende il nome dallo stesso ingegnere che l’ha realizzata), che oggi tutti conoscono come Villa Meridiana, per via proprio dell’orologio solare piazzato sulla facciata, ma anche Villa Mellacqua (dallo stile neogotico),  Villa San Giovanni (dallo stile egizio) e Villa Episcopo (dallo stile cinese).

Ma anche Santa Cesarea Terme ha molto da offrire. Villa Raffaella, costruita nella seconda metà dell’ottocento su commissione della baronessa Raffaella della famiglia Lubelli, segue un perfetto stile eclettico. Villa Sticchi, edificata da Pasquale Ruggieri per volontà di Giovanni Pasca, primo concessionario dello sfruttamento termale di Santa Cesarea (tra il 1894 e il 1900), costituisce invece una delle più importanti espressioni dello stile moresco: le deboli tracce di pitture in bianco, azzurro e rosso con arabeschi, stelle e motivi floreali, nonché i delicati intagli in pietra leccese ad opera di maestranze locali, impreziosiscono le porte e le finestre dell’edificio; la grande cupola, inoltre, rivestita da motivi geometrici realizzati con intonaci riflettenti, segue i dettami dell’architettura islamica.

Si ricordi infine Nardò, precisamente zona “Cenate”, che offre un gran numero di maestose ville dagli svariati stili liberty: Villa Caroli (risalente al agli inizi del 1900), Villa Casa d’Africa (costruita alla fine del secolo scorso), Villa De Benedittis (dallo stile moresco, fu costruita nel 1920 su progetto dall’arch. Generoso De Maglie e su commissione del barone Egidio Personè – qui i soldati alleati elessero il loro quartier generale durante la seconda guerra mondiale), Villa Venturi o Personè (costruita nel 1910, fu progettata anch’essa dall’arch. De Maglie su commissione della famiglia Personè), Villa De Michele o Saetta (con motivi orientali, arco moresco, fregi e colonnine, fu costruita nel 1892 su progetto dell’arch. Ardito di Presicce – durante la seconda guerra mondiale, i soldati alleati requisirono la villa per far rifugiare gli ebrei sfuggiti allo sterminio nazista), Villa De Mitri o Zuccaro (datata 1920), Villa Del Prete (risalente ai primi anni del secolo scorso, fu progettata dagli architetti Mashicesky e Barlinger – durante la seconda guerra mondiale fu adibita prima ad ospedale e poi ad asilo per ebrei), Villa Filograna o Arachi (costruita nel 1911, durante la guerra in Libia), Villa Fonte (dallo stile ionico, fu costruita su progetto dall’arch. Tarantino sui ruderi di un fabbricato risalente al XVII secolo), Villa Giulio o Zuccaro (commissariata dall’on. Giovanni Zuccaro – durante la seconda guerra mondiale fu occupata da slavi e polacchi perseguitati), Villa Leuzzi (costruita nel 1884), Villa Sangiovanni (costruita nel 1920) e Villa del Vescovo (dallo stile neoclassico, fu la residenza estiva del vescovo Mons. M. A. Petruccelli tra il 1755 e il 1838).

Quel che rimane oggi del liberty versa in uno stato continuo di degrado. Il recupero e il restauro devono tener conto di tutti quegli aspetti tipici dell’ambiente liberty, perché solo nella tutela di ogni sua parte si potrà garantire la conservazione e il significato del tutto. L’architettura liberty è un’architettura colorata, scolpita, aperta a vetri, ma allo stesso tempo è un’architettura fragile, che può facilmente sporcarsi, sbiadire nei colori, frantumarsi negli stucchi decorativi, spezzarsi nei vetri dei lucernari, ossidarsi nei ferri. La sua “fragilità” è spesso causata dall’utilizzo di tecniche non ancora fortemente consolidate, che trovavano in quegli anni l’occasione di sperimentazione e di continuo affinamento. Spesso accade che quelle magnifiche decorazioni non siano protette da una adeguata tecnica d’esecuzione e di isolamento, perché invece dell’affresco si è fatto ricorso alle tempere, per cui è doveroso un supplemento di attenzione nel recupero degli intonaci e dei loro strati più superficiali. Stesso discorso vale sotto il profilo strutturale e costruttivo: l’uso del copriferro non era ancora una pratica “scontata” come oggi, così come il confinamento degli elementi, l’ancoraggio delle armature lisce e la particolare attenzione dei nodi strutturali.


FONTI:

Santa Maria di Leuca | Ville Ottocentesche.

Comune di Nardò | Guida alle dimore storiche di Nardò.

GAL Terra d’Arneo | Linee guida per il recupero dei siti e degli edifici di particolare interesse storico e culturale.

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

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