Sbarco in Normandia e metodo SMB, l’ingegneria ai tempi di guerra

di Daniele Perrone

Lo Sbarco in Normandia (Francia, 6 giugno 1944) è considerato ancora oggi una delle più grandi invasioni anfibie della storia.

Il nome in codice era Operazione Neptune. Fu messa in atto dalle forze alleate durante la Seconda Guerra Mondiale per aprire un secondo fronte in Europa, dirigersi verso la Germania nazista e allo stesso tempo alleggerire il fronte orientale, sul quale da tre anni l’Armata Rossa stava sostenendo un aspro confronto con i tedeschi.

E fin qui, credo di avervi scritto una storia già nota.

Quel che è meno noto è invece l’aspetto ingegneristico implicitamente coinvolto e sfruttato in tale operazione. È bene anzitutto sapere che all’epoca fu istituita una Swell Forecast Section, un osservatorio mareografico che intraprese una campagna aerofotogrammetrica sulle coste francesi. Esso vantava una rete di 51 stazioni, disposte lungo le coste inglesi della Manica e adibite alla registrazione. Per gli Alleati, le previsioni del tempo furono decisive nella scelta del momento per intraprendere lo sbarco in Normandia. Nei giorni che precedettero l’invasione, infatti, Dwight D. Eisenhower – comandante supremo delle forze alleate – tenne quotidianamente due incontri di aggiornamento con i meteorologi incaricati.

Sia gli Alleati che i tedeschi previdero, come effettivamente avvenne, che il 5 e il 6 giugno sarebbe transitato un fronte temporalesco seguito da tempo migliore lungo le coste della Normandia. Il comando tedesco ritenne perciò che fossero necessari almeno cinque giorni favorevoli per subire un’invasione con mezzi anfibi. Lo stato di allerta dei tedeschi fu pertanto allentato e l’attacco, sferrato la mattina del 6 giugno, colse le difese impreparate.

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Sbarco in Normandia (1944).

Dopo l’acustica sottomarina, l’obiettivo più urgente per gli oceanografi in tempo di guerra era quello di comprendere le condizioni di onda e risacca. Così da consentire gli ammaraggi dei mezzi anfibi. Il metodo che permise questa evoluzione e, con essa, il buon esito dell’Operazione Neptune derivò dal lavoro di Harald Svedrup e Walter Munk. Esso rappresenta in assoluto il primo contributo scientifico della storia incentrato alla ricerca delle caratteristiche del moto ondoso generato dal vento.

Sverdrup, formatosi alla Scuola di Bergen e direttore della Scripps Institution, e Munk, anch’egli del medesimo istituto, realizzarono già nel 1943 un importante lavoro noto come “Wind, waves and swell. A basic theory for forecasting”. Con esso si poterono calcolare le caratteristiche delle onde di mare morto (cioè generate da vento e propagatesi al di fuori della sua area di generazione) a partire dalla durata e dalla velocità del vento, oltre che dal tratto di mare coinvolto.

Già all’epoca degli studi di Sverdrup e Munk era noto che la ripidità delle onde δ, intesa come rapporto tra la loro altezza e la loro lunghezza, è in relazione con lo sviluppo delle onde stesse. Le onde prodotte dal vento, inoltre, aumentano velocemente la propria ripidità all’inizio fino al valore limite massimo (circa 1/10). Questa condizione di ripidità massima è detta anche “marosi”. Se tali onde assorbono ulteriore energia sotto forma di incremento di altezza, frangono anche in alti fondali e creano problemi alla navigazione.

Con l’aumentare dell’azione del vento nell’area di generazione (fetch), l’onda si evolve ulteriormente incrementando le proprie caratteristiche (altezza H, lunghezza L, celerità w). Aumenta quindi l’età β, in funzione della celerità dell’onda e della velocità U del vento. La ripidità tende a ridursi, ma questo non avviene per una diminuzione di H (che in realtà continua a crescere), ma per il progressivo aumento di L.

Queste considerazioni, basate su estese osservazioni, permisero agli autori di tracciare una relazione qualitativa tra δ e β. La teoria di Sverdrup e Munk correlava quindi la velocità U, la durata t del vento e la lunghezza x del fetch. A tal riguardo, nella figura sottostante è riportata una relazione qualitativa tra le grandezze appena citate.

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Relazione tra ripitidà ed età dell’onda.

Per β = 1.37 si raggiunge infine la massima lunghezza d’onda, mentre la ripidità raggiunge il valore di 0.0216. Le onde che raggiungono tale situazione si dicono “onde a pieno sviluppo“. Ciò significa che la durata del vento e la lunghezza del fetch hanno valori tali da consentire il massimo sviluppo del mare. In questo caso, il vento trasferisce al mare tutta l’energia possibile. Tuttavia quest’ultima situazione si verifica raramente nei mari chiusi inferiori ai 600 km, a causa delle lunghezze di fetch limitate.

In sostanza, il metodo era una combinazione di procedure empiriche ed analitiche per determinare l’altezza significativa della mareggiata, una volta nota la velocità e la durata del vento. Queste caratteristiche venivano rilevate a terra dalle stazioni anemometriche perché, ovviamente, non esistevano ancora mezzi di misura diretti delle onde. Pertanto, la velocità del vento veniva poi corretta da opportuni coefficienti (trasposizione geografica).

Senza tediarvi troppo con gli aspetti analitici, rimando la sua trattazione agli innumerevoli articoli e libri di Ingegneria Costiera.

Lo studio di Sverdrup e Munk fu in seguito ripreso e migliorato da Bretchneider (nel 1958). Grazie a quest’ultimo studioso, al metodo furono inseriti numerosi dati sperimentali che si erano andati accumulando con gli anni. In seguito a questo miglioramento, la teoria che ne è scaturita è oggi nota come “metodo SMB“. Un acronimo nato in onore dei suoi tre autori.

Il metodo SMB è tuttora utilizzato per la sua semplicità operativa, seppur in parte superato da analisi più realistiche. Un suo limite, ad esempio, è quello di trascurare gli aspetti spettrali del moto ondoso, cioè di non fornire informazioni sulla distribuzione in frequenza o in direzione. Il metodo SMB, purtroppo, non riesce nemmeno a trattare le variazioni del vento nel tempo e nello spazio. Nonostante  questi svantaggi, resta tuttavia un metodo utile. Specie quando bisogna fornire ordini di grandezza e indicazioni qualitative per la verifica di opere di ingegneria costiera.


Fonti e note:

Treccani.it – “La seconda rivoluzione scientifica: fisica e chimica. La macrofisica” di Theodore Feldman

Basic Wave Mechanics: For Coastal and Ocean Engineers

Coastal Engineering Manual

 

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

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