Storie di pirateria in Terra d’Otranto

di Daniele Perrone

Le storie di pirati, corsari e bucanieri, caratterizzate dai crimini che queste figure hanno commesso, ma anche dal fascino dell’avventura e della vita in mare, hanno stimolato molte genti a narrare le gesta di questi avventurieri avvolti tra storia e leggenda.

Non siamo nel mare dei Caraibi dominato dal famoso Edward Teach, detto Barbanera, non siamo neanche nel fantasioso mondo di ONE PIECE di Eiichiro Oda (ricco di svariati pirati e di corsari della “flotta dei sette”), tanto meno nel crudo scenario di Black Sails, serie TV che racconta l’ascesa del capitano Long John Silver e pensata come prequel al romanzo “L’isola del tesoro” (di Robert Louise Stevenson).

Lo scenario di questo articolo è il nostro Mar Mediterraneo, che è stato per secoli l’oggetto di contese politiche, di scambi e di conquiste che hanno portato queste terre ad esser considerate da tutti come la culla della civiltà. Una particolare attenzione sarà inoltre rivolta al Salento, ossia all’antica Terra d’Otranto.

Mappa terra d'otranto

Mappa della Terra d’Otranto del XV secolo.

La pirateria nel Mediterraneo ha origini molto lontane, fin dal medioevo le popolazioni costiere più esposte erano spesso vittime di saccheggi, incursioni e persino di dominazioni. Queste popolazioni, tra cui quella Salentina, erano costrette a subire la distruzione di chiese, lo stupro delle donne e la sottrazione di derrate alimentari, di beni preziosi, di capi di bestiame e degli uomini più validi da impiegare come schiavi. Le popolazioni vivevano nel terrore, le difese erano spesso inadeguate e le flotte cristiane, il più delle volte, erano impreparate nel contrastare questi subdoli nemici. A vantaggio dei pirati, inoltre, vi era l’uso di navi molto agili dette galere, che avevano maggiori capacità di manovra rispetto a quelle cristiane e che rendevano, quindi, le azioni di arrembaggio verso le navi-preda molto facili e rapide.

galera corsara

Ricostruzione di una galera pirata.

La galera è una nave di dimensioni ridotte caratterizzata da un profilo lungo e basso. È mossa a remi e da due vele latine triangolari poste su due alberi (il marabutto e il trinchetto, quest’ultimo come albero maestro). Tutte le navi pirata, al contrario dei galeoni occidentali, erano prive di decorazioni ed erano concepite con forme più semplici e lineari, sia per contenere i costi che per motivi legati alla cultura e alla religione islamica.

A partire dal 1400, gli attacchi e le incursioni dei pirati divennero sempre più feroci. In un primo momento, le flottiglie dei pirati che scorrazzavano nel Mediterraneo colpivano in maniera disorganica, limitandosi perlopiù ad arrembare navi mercantili e a prendere dei prigionieri da rivendere come schiavi o da utilizzare come ostaggi per la pretesa di somme di riscatto. Ma dalla fine del XV secolo, in seguito al crollo di Costantinopoli e all’espansionismo Turco, alla figura del pirata si sovrappose e si sostituì quella del corsaro. Questa figura, a differenza del pirata, aveva l’autorizzazione, se non proprio il pieno incarico, da parte di un Governo ad arrembare e saccheggiare popolazioni e navi mercantili.

Il principale Stato che nel Mediterraneo si avvantaggiò dell’alleanza con i corsari a danno dei nemici occidentali fu l’Impero Ottomano, che giunse ad annoverare tra i comandanti della propria flotta importanti corsari come Ariadeno Barbarossa e Sinàn Capudàn Pascià. I più valenti comandanti corsari erano generalmente cristiani “rinnegati”, ovvero ex occidentali rapiti fin da bambini per esser allevati come pirati dalla mentalità occidentale, ma con il fanatismo della Jihad islamica. Nel corso del XVI secolo (chiamato “secolo d’oro della corsa”), il reclutamento di corsari divenne sempre più consistente, tanto da sovrapporsi quasi totalmente alla flotta “ufficiale” Ottomana. Si pensi, ad esempio, che durante la battaglia di Lepanto, la flotta ottomana era composta per 2/3 da corsari.

Ma non solo, molti di essi, grazie alle spiccate doti militari e strategiche che possedevano, furono addirittura elevati al grado di Ammiraglio, come Barbarossa nel 1533 e, successivamente, Lucciallì “il tignoso” ed altri ancora.

Il sostegno e le strategie fornite dai corsari agli Ottomani consentirono a quest’ultimi una rapida espansione e un forte controllo dei mari e delle coste del Mediterraneo. Tuttavia, con la battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571 contro i cristiani, avvenne la battuta d’arresto dell’imperialismo Ottomano nel Mediterraneo e l’indebolimento graduale dei corsari.

Barbarossa_Hayreddin_Pasha

Barbarossa Hayreddin Pasha

Per i Salentini, il nome “Turco” era spesso sinonimo di terrore. La famosa espressione “Mamma li Turchi!” deriva proprio da quel grido di allarme che la gente lanciava tra i vicoli dei paesi non appena avvistava navi ottomane. Nell’arco temporale appena descritto, la popolazione della Terra d’Otranto fu vittima di innumerevoli assalti di pirati e corsari al servizio dei turchi, ma anche di dominazioni vere e proprie. Queste coste, che oggi rappresentano delle gettonate mete turistiche, un tempo erano teatro di urla, di paura e di strenua lotta. I Pirati che approdavano, essendo talvolta dei “rinnegati” italiani che conoscevano la loro madrelingua, raggiungevano i casali dopo aver attraccato le loro galere in luoghi nascosti e si presentavano alla gente locale come pellegrini in cerca di aiuto e riparo. Queste azioni, però, non sono da confondere con quelle del brigantaggio locale, che spesso cavalcava l’onda della paura per trarne profitto.

Le tragedie più gravi che colpirono le città e le popolazioni del basso Salento si verificarono nell’estate del 1480 e nella primavera del 1484. Non si dimentichino i martiri di Otranto per esempio, che furono uccisi dal Sultano Maometto II nell’agosto del 1480 dopo una strenua resistenza. Questa vicenda rappresenta ancora oggi l’evento più crudo dell’invasione turca nel Salento.

Sempre nello stesso anno fu attaccata Salve. A quest’ultima, però, andò meglio grazie anche alla presenza di torri costiere e alla forte difesa che da sempre ha caratterizzato la popolazione salvese.

Le scorrerie però continuarono e nel 1524 fu attaccata anche Gallipoli.

Nel 1537 fu la volta di Castro che, attaccata dal famoso Ariadeno Barbarossa (Khair ed-Din), dovette arrendersi e subire saccheggi, rapimenti e violenze. Sempre nello stesso anno, piccole squadre di pirati penetrarono nei villaggi e nei casali della costa jonica, come ad Ugento, a Gallipoli e ancora a Salve.

A partire dal 1537, per contrastare i numerosi assalti, Carlo V avviò la costruzione di torri lungo le coste salentine. Nello stesso periodo partì anche la ricostruzione di numerosi castelli (come quello di Lecce, di Otranto e di Gallipoli), il rafforzamento delle mura cittadine (come ad Acaya) e la fortificazione di masserie. Anche l’organizzazione delle truppe armate divenne più ferrata e accorta; si esortavano tutti i sindaci e i baroni della Terra d’Otranto a fornirsi in tempo della necessaria quantità di armi, si invitavano le popolazioni locali a prestare più attenzione e si davano precise disposizioni per prevenire attacchi a sorpresa.

Il corsaro Dragut

Torghoud Reis Dragut

Nel 1538 fu preparata una flotta cristiana, affidata all’Ammiraglio Andrea Doria, per poter affrontare in mare i turchi del Sultano Solimano I aiutati dal corsaro Barbarossa. Ma Doria venne sconfitto alla Prevesa e dovette difendersi dall’accusa di alto tradimento. Questa battaglia decretò l’ascesa incontrastata della potenza marittima ottomana, che sarebbe durata fino al 1571.

Dopo la morte di Barbarossa (1546), altri corsari e bucanieri cominciarono a tormentare le coste salentine. Gli assalti si concentrarono perlopiù intorno a Leuca e nei paesi vicini come Ugento, Salve e Gagliano del Capo.

Il 22 luglio del 1547, Salve venne nuovamente presa di mira. Stavolta, ad opera del corsaro Torghoud Reis Dragut, giunsero delle navi nel tratto compreso tra Pescoluse e Torre Pali con l’intento di assaltare il centro, ma i Salvesi, ancora una volta, si resero protagonisti di una coraggiosa e sanguinosa difesa, contrastando i pirati con colpi di armi da fuoco e lanci di olio bollente dall’alto del loro fortilizio.

Sempre nel 1547, circa 400 predoni Turchi guidati da Cria – un personaggio locale convertito all’islam – sbarcarono nella piccola località jonica di Torre Colimena e depredarono i raccolti delle masserie attorno a San Pancrazio ed Avetrana. A quanto viene riportato da alcuni affreschi, pare che il Casale di San Pancrazio in questo episodio fu letteralmente distrutto. Il saccheggio colse i suoi abitanti alla sprovvista e molti di essi furono deportati in Turchia per esser rivenduti come schiavi. Non si conoscono ulteriori dettagli, ma una cosa è certa: il famigerato Cria subì probabilmente un ammutinamento da parte dei suoi compagni, fu catturato dai superstiti di San Pancrazio e fu linciato dalla folla e addirittura dai bambini.

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Affresco di Cria del 1547 situato nella Chiesa di S. Antonio, San Pancrazio Salentino.

La sconfitta dei turchi a Lepanto (1571) segnò un lento declino anche per i corsari. In un primo momento, però, la loro azione in Terra d’Otranto non si placò. Anzi, al contrario, sentendosi ancora più liberi dai vincoli che li legavano ad Istanbul, molti pirati ripresero le loro scorrerie, saccheggiando nuovamente Castro ed altre località. Alcune cronache locali raccontano anche di sporadiche incursioni piratesche, anche nel già distante settecento. Famosa, ad esempio, è l’incursione del 27 settembre 1711 all’interno del complesso monastico dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate (Vedi anche “L’Abbazia di Santa Maria di Cerrate”).

Tuttavia, divenendo ormai dei “cani sciolti” non più al servizio della politica turca, le bande piratesche perpetuarono la loro opera in modo meno organizzato e più dispersivo. Alle loro scorribande, inoltre, si contrapponeva l’imponenza delle fortificazioni e la ferma opposizione delle truppe stanziate lungo le coste salentine. Dalla fine del XVI secolo, anche il mare aperto divenne un luogo sempre più arduo per i pirati, che dovettero fare i conti con le azioni di controguerriglia da parte degli Ordini cavallereschi cristiani. Le flotte occidentali, infatti, cominciarono a controllare le rotte pirata con azioni di spionaggio, le inseguivano e le braccavano nei porti da cui salpavano. Si cominciarono a realizzare, inoltre, navi simili alle galere e si adottarono le stesse tecniche di navigazione e di attacco. Grazie a questi fattori, il fenomeno piratesco divenne sempre meno influente fino a tramontare definitivamente nel XIX secolo, lasciando alle popolazioni locali solo il suo amaro ricordo.


FONTI

La Pirateria Barbaresca nei secoli XVI – XIX (di Vincenzo Scarpello)

Pirati e corsari: gli scontri navali dell’Impero Ottomano (di Vincenzo Scarpello)

Cantieristica ottomana e corsara (di Vincenzo Scarpello)

La pirateria nel Salento (di Alessio Palumbo) – Fondazione Terra d’Otranto

Pirati e Torri Costiere nel Salento

Pirati. Scorrerie nel Salento ed a Salve

Scorrerie dei pirati turchi sulle coste gallipoline (di Tommaso Leopizzi)

Turchi e Barbareschi ai danni di Terra d’Otranto (di Salvatore Panareo) – Rinascenza Salentina

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

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