Il terrorista, il guerrigliero e il resistente

Nel precedente articolo si è potuto esaminare come gli apparati mediatici non sono estranei alle dinamiche che caratterizzano il fenomeno terroristico. Anzi, sono proprio gli eventi terroristici che si nutrono della notizia elaborata dai media, elevando i mezzi d’informazione da semplice strumento mediatico a soggetto capace di suscitare tensione senza l’uso della pratica coercitiva. In pratica la strategia della tensione legata al fenomeno terroristico vede i mass media come un canale capace di strumentalizzare la violenza dell’evento, fungendo da propaganda per le strutture sovversive e influenzando mediaticamente l’opinione pubblica sulla lotta contro l’ordine del sistema costituito. Allora, mcluaniamente parlando, i mezzi di comunicazione sono dei browser mediante i quali si ha la possibilità d’interagire e d’informarsi, ma comunque esposti al pericolo di essere anche il mezzo di diffusione e di contagio dei malware. In tal caso ciò potrebbe causare danni irreversibili non solo ai software, ma anche agli stessi componenti hardware. In pratica il terrorismo, correlato ai media, assume le fattezze di un virus informatico, capace di attaccare non solo il sistema operativo, ma anche di colpire il funzionamento di un componente fisico del calcolatore, causando così un cattivo funzionamento o addirittura provocando il decesso dell’intera macchina. Sul Corriere della Sera del 25 febbraio 1978 vennero riportate alcune dichiarazioni dello scrittore inglese Antony Burgess:

La violenza non è una cosa nuova; è sempre stato un aspetto della storia umana. Non credo che ai tempi di Giulio Cesare ci fosse meno violenza. Quel che è cambiato è il sistema delle comunicazioni: ora ci sono i giornali, la televisione, il cinema, che ci mettono continuamente a contatto con immagini di violenza.

Il politico italiano Aldo Moro sequestrato dalle Brigate Rosse.

Il politico italiano Aldo Moro sequestrato dalle Brigate Rosse.

Proprio all’interno di questa interconnettività della struttura comunicativa, abolendo la dimensione spazio-temporale, si consumano quelle dinamiche intorno alle quali si costituisce l’identikit della società contemporanea. Di conseguenza il lettore può essere facilmente manipolato, le notizie che vengono diffuse mediante l’informazione si radicano nella cultura della società, in un senso lato vengono secolarizzate. Si fonda un legame indissolubile tra ciò che viene diffuso dall’informazione e ciò che è realmente accaduto: un legame che potrebbe non rispecchiare la veridicità dei fatti. Si viene così a formulare un processo di storicizzazione della notizia, a discapito di quegli eventi che non hanno ottenuto un’importante attenzione mediatica. L’interconnessione delle comunicazioni favorisce anche un netto sradicamento degli individui dalla tradizione storica e culturale di un’area particolare.
Si osserva che, quando si affronta il problema del terrorismo, incosciamente vengono riportati alla mente gli episodi terroristici che hanno caratterizzato gli ultimi decenni dell’umanità: ovvero gli attentati dell’undici settembre e il terrorismo fondamentalista islamico. Ad ogni modo il XX secolo è ricco di lampanti esempi di terrorismo: basta ricordare la strategia della tensione che ha sconvolto diverse nazioni intorno agli anni settanta. Dunque questo ragionamento risulterebbe banale se non si considera il lavoro svolto dai mass media: le notizie, caricate da un’ampia dose di sensazionalismo e allarmismo, giocano sull’istantanea emotività del lettore. D’altra parte la carica passionale dell’individuo viene alimentata da una forte incertezza per il futuro, cercando risposte solide e concrete nella novità, abbandonando dunque l’esperienza legata al passato. Tuttavia per definire in parte il terrorismo bisognerebbe avanzare un’analisi storica. Nonostante ciò, il terrorismo paramilitare e clandestino è attraversato da forti contraddizioni: ad ogni modo è riprovevole l’uso della violenza come mezzo di risolvimento dei problemi, ma dall’altra parte si giustifica la lotta clandestina contro un’ordine tiranno costituito istituzionalmente. Questa giustificazione si consolida all’indomani della rivoluzione francese: essa si sviluppa nella seconda metà dell’ottocento con l’avvento dei nazionalismi, e successivamente si rinvigorisce mediante l’esperienza partigiana nella seconda guerra mondiale.

Membri del Fronte Nazionale di Liberazione.

Membri del Fronte Nazionale di Liberazione.

Una polemica svolta in Francia durante la guerra d’Algeria vide contrapporre quelle forze politiche e intellettuali, fra chi, come i gaullisti, definivano terrorismo le azioni eversive svolte dal F.N.L. (Fronte Nazionale di Liberazione), e fra quanti, come il P.S.U., invece ne prendevano le difese, stabilendo che tali azioni erano condotte da resistenti e patrioti. Un dibattito analogo si svolse in Italia nel novembre 2004, quando venne duramente criticata – e successivamente censurata – la giornalista italiana, allora inviato speciale a Baghdad, Lily Gruber, che definì resistenza irachena gli attentati che sconvolgevano l’Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Lo stesso mese uscì sul Corriere della Sera l’articolo di Angelo Panebianco1:

E’ segno di bigottismo intollerante, variante di destra del «politicamente corretto», come sostiene Umberto Eco, criticare l’ uso del termine «resistenza» per designare le azioni, terroriste e di guerriglia, che in Iraq continuano a colpire i soldati della coalizione occidentale e i civili iracheni? Penso proprio di no. […] A meno di scoprire che sia diventato «bigottismo» la critica di opinioni diverse dalla propria (il che farebbe di me e di Eco due bigotti). La parola «resistenza», a differenza, ad esempio, della parola «guerriglia», non è politicamente neutra, soprattutto in quella parte dell’ Europa che conobbe la resistenza armata contro l’ occupazione nazista. Da noi si celebra la Resistenza. Dunque, chiusa quel termine non è nella stessa condizione di chi, violando le norme del politicamente corretto, chiama «spazzino» l’ operatore ecologico. Egli sta facendo una scoperta operazione politica. Trasmette all’ opinione pubblica l’ idea che in Iraq ci sia una resistenza patriottica (anelante alla «libertà», come, a suo tempo, le resistenze italiana e francese) contro un feroce esercito di occupanti e i loro sgherri e fantocci indigeni: il governo provvisorio di Allawi come la Repubblica sociale, e la coalizione occidentale come l’ esercito tedesco.

Il 5 settembre 1972 alcuni componenti di Settembre Nero sequestrarono a Monaco di Baviera 11 membri della squadra olimpionica israeliana. Il tentativo di liberazione da parte della polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di 5 fedayyin e di un poliziotto tedesco.

Il 5 settembre 1972 alcuni componenti di Settembre Nero sequestrarono a Monaco di Baviera 11 membri della squadra olimpionica israeliana. Il tentativo di liberazione da parte della polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti sequestrati, di 5 fedayyin e di un poliziotto tedesco.

Ma ci sono molti altri esempi storici che producono questo contrastante dualismo tra terrorismo e ribellione. Dunque, questo complesso agglomerato della pratica terroristica rende indefinibile la demarcazione tra patriota, ribelle e resistente. Basta pensare alla forte eterogeneità dei movimenti terroristici: l’O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), l’E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna), l’I.R.A. (Irish Repubblican Army), il P.K.K. (Partîya Karkerén Kurdîstan), i separatisti ceceni, l’O.A.S. (Organisation armée secrète), l’O.U.N. (Orhanizatsiya Ukrayins’kykh Nationalistiv), la Rote Armee Fraktion, le Brigate Rosse, l’Ordine Nuovo, Hamas, Sendero Luminoso, Al-Qaeda, gli anarchici individualisti e così via dicendo. Perciò risulta assai complesso e opinabile cercare di inquadrarli in unico termine: sono fenomeni terroristici lontani nel tempo e nello spazio, si pongono ideologicamente in antitesi e le loro motivazioni hanno natura totalmente differente. Non è un caso se anche l’O.N.U., le convenzioni di guerra, il diritto internazionale e così via dicendo, abbiano sviluppato attorno ad un tema così sensibile molteplici argomentazioni, che hanno contribuito solamente a sviluppare ulteriori incognite sulla ricerca di una definizione universale che distingua il terrorista, il guerrigliero e il resistente.
Alcuni studiosi sostengono che il terrorismo sia anche presente nelle società ottocentesche, i cui esempi sfociano nelle organizzazioni settarie come la carboneria o nel fenomeno del brigantaggio. Un’altra polemica si sviluppò attorno alle dichiarazioni rilasciate dallo storico francese Pierre Milza sempre sul Corriere della Sera, il quale affermava2:

Mazzini può apparire il padre del terrorismo italiano. Il fenomeno delle Brigate Rosse è nato dalla disperazione e dai sogni impossibili di giovani provenienti dal marxismo e dal cattolicesimo radicale. Ma c’è anche una tradizione mazziniana di spirito terroristico.

A tali affermazioni seguì una fervida mobilitazione degli intellettuali italiani in difesa di uno dei personaggi che hanno fatto la storia del risorgimento nazionale. La ritorsione terroristica compiuta da gruppi clandestini non agisce solamente tramite le stragi civili, ma essa si manifesta anche mediante attentati verso i simboli e le istituzioni che sono ritenute illegittime o tiranniche da parte del militante terrorista. C’è un chiaro fondamento politico attorno al terrorismo, tuttavia l’analisi comporterebbe delle pericolose controversie. Il terrorismo è il prodotto delle diverse forme di lotta politica e dei vincoli etici sociali, in ogni caso considerati irriducibili. Esso viene esercitato da gruppi dissidenti ad un sistema costituito, ma, come vedremo nel prossimo articolo, esso può essere condotto anche dal sistema stesso. Inoltre nella società globalizzata, dove ormai le responsabilità politiche sono assorbite nell’entourage economico, anche il terrorismo ha assunto o potrebbe assumere una nuova dialettica. Dunque risulta lampante l’indefinibilità del fenomeno terroristico: se la cultura positivista ci ha imperniati dalla necessità di razionalizzare qualunque cosa e dimostrarla scientificamente, il terrorismo ha dimostrato la vulnerabilità della tecnica che domina la società contemporanea. Il fenomeno terroristico risulta essere irrazionale e atomizzato. Questa sua natura è strettamente connessa alla natura passionale dell’essere umano.
D’altro canto, è la stessa tecnica che ha imposto alla soggettività della passione le verità assolute sviluppate dall’oggettività scientifica, rendendo perciò irriducibile non solo il fenomeno terroristico, ma anche le vicende che hanno caratterizzato l’umanità negli ultimi due secoli. Dunque è inevitabile eccedere nel giudizio, cadendo in quel bigottismo intollerante sostenuto da Umberto Eco.


NOTE

1 Corriere della Sera | Perché non esiste una “resistenza”, Angelo Panebianco, 8 novembre 2004.
2 Corriere della Sera | Milza: “assurdo disfare l’Italia che esiste da venticinque secoli”, Ulderico Munzi, 14 luglio 2005.

Author: Alessio Sacquegna

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