Recensione di True Detective
Mi accingo a parlare di True Detective, una nuova serie antologica, ossia con trama orizzontale e con cast e script diversi ad ogni stagione, andata in onda su HBO, canale via cavo della tv americana. Su questa serie è già nato un dibattito acceso e frizzante, in quanto si è affacciato sul panorama telefilmico un prodotto che finora ha avuto ottimi riscontri da parte di pubblico e critica. È una serie poliziesca che narra in un lungo arco temporale, dal 1995 al 2012, le indagini di due detective, molto differenti tra loro, sia come metodi d’indagine e sia come vita privata.
Il filone lungo cui si dipana la storia è la ricerca di un killer seriale, assassino di una prostituta, una certa Dora Lange, coinvolta in non meglio precisati e loschi giri, fino ovviamente all’originale finale. I due detective Rustin Cole e Martin Hart sono, come dicevamo, molto distanti tra loro: il primo, interpretato dal premio Oscar Matthew McConaughey, alquanto nichilista e disilluso, è spesso protagonista di monologhi stranianti e coinvolgenti, frutto della sua difficile esperienza di vita, in primis la morte della sua figlia piccola in un incidente stradale, e che sarà la causa anche della rottura con la moglie, in un susseguirsi di incolparsi reciproci. Martin Hart, a cui offre voce e corpo Woody Harrelson, conduce in apparenza una vita molto più morigerata e tranquilla, ma che si scoprirà ben presto non essere così ortodossa e serena come si potrebbe pensare apparentemente.
Entrambi hanno tuttavia una passione comune, l’alcol, che è un altro elemento importante nella serie, spesso presente in momenti topici e che vedono sovente i protagonisti susseguirsi in un climax narrativo. Il clima molto cupo e grigio, e un’ottima fotografia a tinte fosche, rendono l’atmosfera molto suggestiva, alienante e inquietante; una bella novità della serie, è tuttavia la doppia linea temporale, che ci porta a seconda dell’intreccio, prima nel 1995, anno di inizio delle indagini sul caso e linea cronologica effettiva della sceneggiatura, e poi al presente, nel 2012, anno della riapertura del caso, al fine di scovare il vero killer che sembra in realtà essere ancora in attività a mietere vittime; la linea temporale presente ci viene proposta quasi sempre tramite domande poste dai due detective che seguono il caso nel 2012, ai due ex-colleghi, che cercano così di far luce su dettagli che evidentemente allora non vennero notati. La regia di Cary Fukunaga, sempre ineccepibile e tormentata, e il grande script di Nic Pizzolatto, autore anche del romanzo da cui è tratta questa trasposizione, si rivelano davvero di eccelsa qualità. Il vero uomo che lascia il segno nel serial è Rustin Cole, alias Matthew McConaughey, che riesce a sfoderare una prova attoriale superba, frutto forse di doti drammatiche finalmente palesate al pubblico dopo il (forse) troppo tardivo Oscar per il film drammatico Dallas Buyers Club.
A chiosa finale, possiamo affermare che è una serie breve (8 episodi), probabilmente di nicchia, d’autore, e sicuramente non mainstream, che avrà forse un pubblico non vastissimo, in quanto avente un’impronta quasi da cinema indipendente e con dialoghi esistenzialisti, e per forza di cose non comprensibili a chiunque, ma che sicuramente ad un occhio attento e capace di avere pazienza nel seguire i lenti ma inesorabili sviluppi, non mancherà di piacere e soddisfare.