Il Bosco Pantano di Policoro

Stagno litoraneo presso Policoro; sullo sfondo il bosco planiziale. Fonte: www. wikicommons.org

Cenni storici

ll bosco di Policoro è uno degli ultimi lembi rimasti delle antiche foreste planiziali italiane, un “fossile” scampato alle bonifiche selvagge e all’intensificazione agricola. Si trova in agro di Policoro (MT), cittadina sorta sulle rovine dell’antica Heraclea, fiorente città della Magna Grecia. La comunità sorse come colonia tarantina nel 443/444 a.C. e raggiunse la massima espansione nel 300 a.C.­; proprio a questo periodo risalgono le tavole bronzee di Eraclea, unico documento pre-romano sulla legislazione riguardante la gestione dei boschi. L’eccezionale contenuto giuridico si affianca ad una interessante descrizione sul tipo di ambiente dell’epoca: macchia mediterranea, querceti e zone paludose dominavano sulle esigue coltivazioni dei coloni in un rapporto di almeno 2:1. Le norme delle tavole limitavano i tagli nei boschi, regolavano il pascolo, i dissodamenti e le deviazioni dei corsi d’acqua. Dal secondo secolo dopo Cristo la città volse ad un profondo declino, tanto che nelle fonti, non si hanno più notizie di Heraclea fino al XI secolo. Solo dopo le invasioni dei Saraceni in Italia Meridionale, paradossalmente il centro di Pollicorio si riorganizzò economicamente e politicamente. I documenti di età normanna attestano la ripresa del centro, florido dal punto di vista agricolo grazie ai numerosi fondi monastici. L’imperatore Federico II di Svevia si fermò a Policoro nel 1231 e nel 1233, e si interessò alle rigogliose foreste della foce del Sinni, tanto da farle ripopolare con selvaggina pregiata per uso venatorio. L’area conobbe un secondo periodo di profonda crisi nel XV e XVI secolo, che perdurò quasi ininterrottamente fino al IX secolo, a causa di condizioni ambientali e politiche (latifondismo e malaria in primis) disastrose.

Ricostruzione cartografica della Lucania intorno al 280 a.C., secondo “The Historical Atlas”, di William R. Sheperd, 1911. Fonte: www.wikipedia.org

I viaggiatori stranieri

Al 1781 risale la prima descrizione del Bosco di Policoro, ad opera di Jean-Claude Richard de Saint- Non e Dominique Vivant Denon:

“Una foresta sacra (…) dominata dal silenzio e dall’oscurità misteriosa che regna sotto le querce vecchie come il mondo (…) popolata da una folla pacifica di animali e da ogni specie di selvaggina; dai cinghiali, dai daini, dai cervi, dai caprioli per non parlare delle martore e degli scoiattoli di cui noi vedemmo una gran quantità passeggiare sulle nostre teste, di albero in albero.”

Nel 1821 Richard Keppel Craven pubblicò il diario di viaggio nell’Italia Meridionale; del bosco scrisse:

“Lo scenario del bosco è raramente osservabile in un altro luogo del Sud Italia e conseguentemente il suo fascino mi ha colpito moltissimo. Qui ho visto alberi da legname che per grandezza e accrescimento sono paragonabili a quelli dei nostri climi più freddi. Tutto questo mi apparve a più riprese, sotto la chioma delle piante, formata da rami che si allungavano, si trovava un fitto ed intricato sottobosco costituito da tutti i vari arbusti sempreverdi, peculiari del Sud: lentisco, mirto, fragrante alloro, corbezzolo, timo, mescolavano le loro diverse tonalità di verde, ravvivate dai vividi fiori del melograno selvatico, o dalla tinta più dolce dell’oleandro ed avviluppati da una trama di liane fiorite, rose muschiate e viti selvatiche, la cui fragranza di gran lunga superava gli altri profumi. Molti corsi d’acqua, rami minori del Sinni, vagavano in mezzo a questa foresta e mantenevano una eterea freschezza nei prati fioriti; il gorgheggiare di una gran quantità di uccelli canori dava un tocco in più allo scenario silvano, poco conosciuto a queste latitudini; il fruscio del capriolo spaventato, o il muggito delle mandrie che pascolavano nelle aperte radure animavano questo quadro di pastorale tranquillità (…).” 

Nel 1866 l’archeologo francese Francois Lenormant compì una serie di viaggi in Puglia, Calabria e Basilicata per lo studio del patrimonio artistico di queste regioni. Lenormant  non si limitò ad una semplice descrizione della foresta ma cercò di esaminare anche la realtà storico-sociale dell’Italia meridionale di quell’epoca. Secondo l’archeologo francese le piaghe della regione si potevano facilmente individuare nella sussistenza del latifondo e nell’assenteismo dell’aristocrazia locale che causavano un profondo stato di abbandono. A tutto ciò veniva ad aggiungersi la mancanza di manodopera e una pressoché totale inesistenza di vie di comunicazione. Il pantano invece veniva descritto così:

“Oggi il luogo dove si scontrarono romani e greci per disputarsi il possesso dell’Italia meridionale è occupato dalla magnifica foresta del Pantano di Policoro, larga parecchi chilometri ed estesa in lunghezza dal mare alle montagne, sulla riva sinistra del Sinni. In questi terreni bagnati dalle acque del fiume, dove la freschezza dello stesso e delle sorgenti combatte l’azione divorante del sole, la vegetazione si sviluppa con un vigore ed un’abbondanza incredibili. Questa è una vera foresta vergine, che ha sostituito le colture di altri tempi e che, da un’eternità, non conosce l’accetta. Di mezzo alla boscaglia emergono di distanza in distanza dei grandi alberi, che, drizzano le loro cime, si innalzano diritti per espandere le loro chiome all’aria e alla luce, o contorcono i loro tronchi ed i loro rami in forme bizzarre, con l’apparenza di una estrema vetustà. Il Leccio, la Sughera, il Tiglio, il Frassino, il Bagolaro sono i giganti di questa foresta. Qua e là si formano delle vere fustaie naturali, le cui dense chiome attenuano i raggi del sole, filtrandole in placche d’oro sul terreno coperto da grandi felci che si sviluppano al riparo di quest’ombra.”

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Policoro, “Vue de Torre di Policoro, sur le Golfe de Tarente”. Realizzata su carta vergellata, proviene dall’edizione del 1781 dell’opera di Saint-Non “Voyage Pittoresque a Naples et en Sicile”. Fonte: www.lacasadelcollezionista.it

Un saggista inglese, George Gissing, nel 1897 osservava il fascino millenario del bosco:

“Al calar del crepuscolo oltrepassammo un tratto fittamente boscoso, che era abbastanza grande da definirsi una foresta, i grandi alberi apparivano grigi per la vecchiaia e nella giungla del sottobosco (mirto e lentisco, corbezzolo ed oleandro) erano stagni verdi, pozze profonde ed opache, grigi rigagnoli. L’immaginazione subiva un fascino che era fatto per metà di paura; non avevo mai visto un bosco incantato: nulla di umano poteva aggirarsi tra quelle ombre senza sentiero, vicino a quelle acque morte. Era l’ingresso al mondo degli spiriti: su questo bosco, contemplato sull’orlo del crepuscolo, gravava un silenzioso timore, quale Dante conobbe nella sua Selva Oscura.”

Un altro narratore inglese, Norman Douglas, nel 1907 compì il suo primo viaggio nel mezzogiorno d’Italia fornendoci la seguente descrizione del bosco:

“Il crepuscolo regna sovrano in questo dedalo di alberi alti e decidui. C’è anche un fitto sottobosco; ed io ho misurato un vecchio lentisco (in Italia un arbusto) che aveva tre metri di circonferenza. Ma la caratteristica esotica del bosco è la dovizia di rampicanti che si abbarbicano agli alberi, dondolandosi da una cima all’altra delle piante e lasciando filtrare fili sottilissimi di luce solare attraverso la loro volta intrecciata. Policoro ha la bellezza aggrovigliata di una palude tropicale. Odori pungenti si levano dalle foglie marcescenti e dalla terra umida e quando ci si sia addentrati in quel labirinto verdeggiante, si può anche immaginare di essere in qualche primitiva regione del globo terrestre, dove mai piede umano è penetrato.”

Egli esprime poi alcune sue considerazioni in merito ai progetti di bonifica che cominciavano a delinearsi proprio in quell’epoca:

“Hanno scavato canali per prosciugare il più possibile l’umidità, ma la terra è paludosa in tanti punti e spesso impraticabile, specialmente in inverno. Ciò nonostante l’inverno è la stagione in cui si fa un pò di caccia da queste parti, soprattutto cinghiali e caprioli. Essi vengono convogliati in basso, verso il mare, ma non oltre la linea ferroviaria. Quelli che riescono a fuggire nei tratti più bassi sono salvi per un altro anno, dato che qui non si continua a sparare ma il luogo viene considerato riserva permanente. Mi è stato detto che hanno immesso anche il cervo ma che l’esperimento è fallito; probabilmente la zona era troppo calda e umida.”

L’autore è fortemente contrario alla suddivisione delle grandi proprietà e alla distruzione delle foreste per far posto alle coltivazioni agricole; inoltre non condivide l’introduzione di essenze arboree estranee alla flora del luogo, riferendosi, in particolar modo, alla diffusione degli eucalipti, alberi importati dall’ Australia con lo scopo di bonificare le ampie zone paludose. L’autore si esprime dicendo:

“(…) la spartizione di molte di queste grandi proprietà è stata seguita dalla distruzione del bosco e dalla scomparsa totale della selvaggina. E’ stata salutata come l’inizio di una grande era di prosperità, e così può essere da un punto di vista commerciale. Ma il viaggiatore e l’amante della natura saranno lieti di lasciare parte di queste terre nelle mani di ricchi proprietari, che non hanno alcun interesse a coltivare ogni dito di terra, a livellare spazi rocciosi, a prosciugare la terra e ad abbattere ogni albero che non dia frutti. (…).”

Ecco quindi ben spiegato da Douglas il paradosso della democrazia e della riforma agraria che nel Meridione d’Italia, da un lato permise a molti contadini di abbandonare una condizione quasi servile al soldo dei latifondisti, dall’altro mise a coltura foreste, zone paludose e aree semi naturali nel nome del progresso.

Il bosco oggi

Pantano di Policoro. Fonte: www. eventioggi.net

I terreni su cui vegeta il bosco sono di origine fluviale e fluvio – marina lungo la costa, mentre prevalgono le formazioni argillo – sabbiose con intercalazioni di sabbie e ghiaia lungo il corso del fiume Sinni; i terrazzi marini sono costituiti da conglomerati calcarei. La piana costiera deriva dalle alluvioni del Sinni che per periodi prolungati rendeva paludose vaste aree, tra cui le più elevate restavano sostanzialmente asciutte, mentre le aree maggiormente depresse si allagavano quasi perennemente. Ciò nel corso dei secoli ha portato all’avanzamento più o meno veloce della linea di costa. L’ambiente si presenta molto diversificato ed eterogeneo, partendo dal mare troviamo la foce salmastra del fiume, il litorale sabbioso, il sistema dunale e retrodunale, gli stagni e la  palude, infine il bosco planiziale. Da un punto di vista vegetazionale l’area protetta può essere distinta in tre parti, la vegetazione del litorale sabbioso, la macchia mediterranea e il bosco umido con le aree palustri. La zona costiera sabbiosa è una delle più critiche per l’instaurarsi della vita vegetale, per le condizioni estreme (aridità, ventosità, salinità). I primi metri di spiaggia sono del tutto privi di vegetazione; subito dopo si incontrano le prime piante psammofile (salsola, calcatreppola, ravastrello marittimo, gramigna della spiaggia) fino ad arrivare alla vegetazione tipica di ambiente dunare (ginepro coccolone fra tutti). La macchia mediterranea occupa un’ampia fascia tra il litorale marino e il bosco igrofilo. Tra le specie più diffuse vanno ricordate la fillirea, il rosmarino, il mirto, il cisto e la rara efedra, una specie di conifera erbacea o arbustiva. Nelle zone più umide sono presenti anche l’oleandro e l’agnocasto. Il bosco planiziale igrofilo è caratterizzato dalla presenza di piante adattatesi ad ambienti con suoli umidi o allagati, tipici delle zone fluviali e palustri.

Foresta igrofila del Bosco Pantano. Fonte: www.panoramio.com

Nel Bosco Sottano lo strato arboreo è composto da specie meso – igrofile, tra cui il frassino, l’ontano nero e il pioppo bianco; sono presenti anche specie  quali il cerro, l’acero campestre, l’alloro e il melo selvatico, più adatte ad ambienti meno umidi. Lo strato arbustivo è rappresentato da un numero molto elevato di specie, tra le quali dominano il biancospino, la sanguinella, la fillirea, il lentisco e l’alaterno. Nel sottobosco erbaceo molto diffuse sono le piante palustri. Nell’area del Bosco Soprano, dove il livello del suolo è generalmente più elevato, rimane uguale la composizione dello strato arboreo ed arbustivo, ma risulta differente il rapporto tra le specie più marcatamente igrofile (pioppo bianco e frassino), che diminuiscono, e quelle meno igrofile (cerro e farnia, alloro e olmo). Le zone umide sono caratterizzate dal fragmiteto costituito dalla cannuccia di palude e da diverse specie di giunco e di carice. La fauna si presenta varia e ricca, rispecchiando la diversità di habitat dell’area. L’elevata pressione antropica ha completamente eliminato la presenza di grandi mammiferi come daini e caprioli, mentre resistono popolazioni di riccio, lepre, istrice, volpe, faina, tasso. La lontra si trova ancora, in pochissimi esemplari, lungo l’alto corso del Sinni. Numerosi sono gli uccelli, con oltre 170 specie tra sedentarie, migratrici e di passo. Numerosissimi risultano essere gli insetti, fra cui alcune specie osservate solo in quest’area.

La lontra è un animale bandiera per molti parchi europei, grazie soprattutto alla sua fotogenicità. Fonte: www.naturopatiashop.it

Conclusioni

La riforma agraria e le opere di bonifica rappresentarono il momento cruciale del cambiamento del regime economico e fondiario, operando, nello stesso tempo, una sostanziale modificazione del paesaggio. La bonifica del territorio ha comportato la realizzazione massiccia di opere urbanistiche ed industriali . Queste trasformazioni, realizzate in tempi recenti, hanno purtroppo intaccato anche la purezza della foresta del Pantano, di cui si hanno notizie (seppur frammentarie) fin dall’epoca della Magna Grecia: il relitto di foresta planiziale sopravvissuto oggi, esprime una testimonianza vivente dei millenni passati e possiede un valore paesaggistico incommensurabile. Molti sono i pregi naturalistico – ecologici del luogo, dalla rarità della cenosi vegetale alla presenza di essenze strettamente legate all’ambiente planiziale umido. Il patrimonio genetico del bosco, costituitosi nel corso di vicende millenarie,  è uno scrigno scientifico di cui ancora oggi non se ne conosce completamente la ricchezza. Il biotopo poi, se analizzato globalmente, costituisce un sistema eterogeneo (foce del fiume, stagni, macchia mediterranea, litorale e bosco) quasi completamente estinto nel resto della Penisola. I benefici per gli esseri umani di una struttura ecologica simile, si ripercuotono a molti livelli:  in primo luogo è di notevole importanza l’effetto barriera nei confronti dei venti marini dannosi alle colture agricole retrostanti; per ciò che invece concerne l’aspetto idrologico, la presenza del bosco limita  l’ intrusione di acqua salata dal mare verso le falde profonde di acqua dolce. Dal punto di vista biologico ambienti così diversificati rappresentano per il mediterraneo il culmine per la biodiversità animale, visto che gli ecosistemi umidi sono quelli più efficienti in termini di produttività ed in particolare le foci dei fiumi costituiscono ambienti ideali per l’avifauna.
L’aura di magia del pantano di Policoro, millenaria enclave della natura, sembra cedere al rombo dei motori e agli affanni dell’uomo moderno, ma molto possiamo fare affinché questa perla naturale del mediterraneo possa sopravvivere nei millenni a venire: non si tratta di promuovere, turistificare, nè venderne l’immagine.  Il Bosco Pantano di Policoro ha bisogno di essere lasciato un pò in pace.

Incendio nel Bosco Soprano, Settembre 2012. Fonte: www.jonicatv.wordpress.com


Bibliografia e fonti

Providune

Oasi WWF Policoro Heracleia, Riserva Regionale – Bosco Pantano

Wikipedia | Riserva naturale orientata Bosco Pantano di Policoro

Sito istituzionale | Comune di Policoro

APT Basilicata | Riserva Bosco Pantano

Consiglio informa – Agenzia di Stampa del Consiglio Regionale della Basilicata | La ricostruzione del milieu di Policoro (pdf)

Terre del Mediterraneo | Il fiume Sinni e il bosco di Policoro

Craven Richard Keppel, 1821 – A tour trough the southern provinces of the Kingdom of Naples wich is sujoined a stech of the immediate circumstances attending the late revolution. Rodwel and Martin, Londra.

Francois Lenormant, 1881 – La Grande Gréce: paysages et histoire littoral de la mer Jonienne, 3 voll., A. Levy, Libraire Editeur, 3 voll. Parigi.

Jean-Claude Richard de Saint-Non, 1781-1786 – Voyage pittoresque ou description des Royames de Naples et de Sicile, 5 voll., Delafosse, Imprimerie de Clausiére, Parigi.

E. L. De Capua, 1995 – Il bosco di Policoro: vicende storiche e caratteri vegetazionali, Annali Accademia Italiana di Scienze Forestali, Vol. 44, pagg. 183-233

Norman Douglas, 1915 – Old Calabria. Londra.

Author: Giuseppe Scandone

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