La fitodepurazione delle acque reflue

Prima di affrontare la fitodepurazione, facciamo un breve cenno sui processi tradizionali che caratterizzano la depurazione e lo smaltimento delle acque reflue.

La depurazione tradizionale delle acque fognarie, prima che esse raggiungano lo scarico, richiede in genere due trattamenti. La maggior parte dei nostri impianti di depurazione sono realizzati con il sistema dei fanghi attivi, costituiti da grandi vasche in cui vi è biomassa attiva  in sospensione come batteri saprofiti, protozoi, amebe, rotiferi e altri microrganismi. I liquami che attraversano il processo di depurazione vengono abbattuti della loro carica inquinante, grazie a questa biomassa, e successivamente vengono separati dai fanghi (che precipitano sul fondo delle vasche) per essere chiarificati e indirizzati verso lo scarico. La normativa vigente prevede poi che lo scarico delle acque fognarie sia fatto presso un bacino idrico esistente, e quindi un corso d’acqua (fiume, lago, vora carsica) o il mare. È invece vietato lo scarico diretto in falda.

I principali trattamenti tradizionali sono quindi:

  • Trattamento primario (o meccanico): che comprende le operazioni di grigliatura, dissabbiatura, sgrassatura, preaerazione e sedimentazione. Questo trattamento inserisce nelle vasche la biomassa attiva (cioè le colonie di batteri), che si “ciba” della carica organica (cioè del liquame) presente nei reflui e chiarifica le acque;
  • Trattamento secondario (o ossidativo): che comprende l’aerazione, la sedimentazione secondaria e la disinfezione. In poche parole, questo trattamento comprende anche l’uccisione dei batteri (disinfezione) mediante la clorazione delle acque. La motivazione sta nel fatto che tali batteri, se immessi nell’ambiente, comincerebbero ad abbattere anche della flora autoctona e l’habitat locale, con conseguenti danni per l’equilibrio ambientale. È quindi un trattamento necessario, soprattutto quando il corpo ricettore è un corso d’acqua o un lago, ossia un habitat ristretto. Risulta invece superfluo quando si prevede lo scarico a mare, per il semplice fatto che l’acqua marina garantisce di per sé la mortalità di questi batteri.

Gli impianti di depurazione sono inoltre tarati e dimensionati per un numero di abitanti equivalenti (A.E.), cioè secondo un’unità di misura basilare della quantità di sostanze organiche biodegradabili, derivate da un’utenza civile o assimilabile a questa, che giunge all’impianto nell’arco di un giorno (24 ore).

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Impianto di fitodepurazione di Melendugno (LE).

In alternativa alla depurazione tradizionale delle acque reflue, vi sono però anche dei sistemi naturali ed ecosostenibili come la fitodepurazione (constructed wetlands). In sostanza, la fitodepurazione si basa sul principio di riproduzione degli stessi processi fisici, chimici e biologici di autodepurazione che caratterizza gli habitat acquatici e le zone umide.

Sfruttando un “sistema suolo-piante-microrganismi”, la fitodepurazione garantisce diversi vantaggi dal punto di vista economico (come il risparmio di energia elettrica, limitati costi di gestione) ed ambientale (come l’eliminazione dei trattamenti di disinfezione e dei relativi sottoprodotti o miglior inserimento paesaggistico).

Nella fitodepurazione (phyto = pianta) sono proprio le piante gli attori principali del processo depurativo delle acque reflue. Più nel dettaglio, questo processo è prettamente sostituivo al trattamento secondario prima descritto, pertanto necessita comunque di un pretrattamento primario a monte.

Le tecniche di fitodepurazione possono essere classificate in base alle tipologie di piante acquatiche che vengono utilizzate. Esistono pertanto i sistemi a microfite, cioè con alghe unicellulari, e i sistemi a macrofite, cioè con piante superiori galleggianti o radicate (sommerse o emergenti). Dei due sistemi, il più utilizzato per scopi civili, agricoli e talvolta urbani è la fitodepurazione a macrofite.

Come già anticipato, i sistemi a macrofite sfruttano le piante superiori, che sono organizzate in tessuti e apparati specializzati (fusto, radici e foglie), ma anche i microrganismi, il suolo e l’ambiente circostante. I principi su cui si basa la rimozione degli inquinanti (sostanza organica, azoto, fosforo e patogeni) sfrutta i processi fisici di filtrazione, sedimentazione e assorbimento lungo il letto sottostante, i processi chimici dovuti alla degradazione per azione della luce e all’ossigenazione, i processi biologici generati dall’assorbimento delle radici delle piante e il metabolismo della flora microbica. Un accorgimento importante è quello di evitare la percolazione in falda freatica, per tanto il fondo dei bacini di fitodepurazione deve essere solitamente impermeabile o reso tale da impermeabilizzazioni artificiali. La restante parte del liquido, ormai chiarificato, potrà poi essere drenata da un sifone posto a valle e successivamente scaricata o riutilizzata per altri scopi.

In base al cammino idraulico delle acque reflue lungo il bacino, i sistemi a macrofite possono essere classificati principalmente in due tipologie:

  • Bacini a flusso superficiale o libero (FWS – Free Water Surface), caratterizzati da vasche di bassa profondità al cui interno vengono fatte crescere piante radicate oppure galleggianti. L’acqua entrante, già pretrattata, comincia il suo trattamento fitodepurativo non appena il suo lento flusso attraversa gli steli e le radici delle piante. Per questo trattamento possono essere utilizzate tutte quelle specie di macrofite acquatiche che ben tollerano i livelli di trofia ed inquinamento elevati (Ceratophyllum demersum, Carex spp, Scirpus spp., Lythrum salicaria, Caltha palustris, Myriophyllum spicatum, Alisma plantago-aquatica, ecc.);
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Sistema a flusso superficiale a macrofite radicate emergenti (FWS).

  • Bacini a flusso subsuperficiale o sommerso (SFS – Subsurface Flow System), costituiti da vasche coperte al fondo da un letto filtrante in ghiaia (medium), sul quale vengono fatte crescere delle piante acquatiche. In questo caso la superficie dell’acqua si mantiene al di sotto del letto poroso, consentendo diversi vantaggi tra cui la riduzione degli odori e degli insetti. A loro volta, i sistemi SFS possono suddividersi in sistemi a flusso sommerso orizzontale (SFS-h o HF: Subsurface Flow System – horizontal) e in sistemi a flusso sommerso verticale (SFS-v o VF: Subsurface Flow System – vertical). L’essenza vegetale più utilizzata per questi sistemi è il Phragmites australis (o cannuccia di palude), perché svolge un perfetto ruolo di “pompa di ossigeno” in grado di trasportare appunto l’ossigeno fino in profondità nel medium, generando microzone ossidate che vengono colonizzate dai batteri aerobici.
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Sistema a flusso subsuperficiale orizzontale (SFS-h).

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Sistema a flusso subsuperficiale verticale (SFS-v).

Un importante sistema di fitodepurazione è quello situato presso il Comune di Melendugno (LE). Esso raccoglie le acque reflue provenienti dai comuni di Melendugno, Calimera e Martignano, per un totale di 21.250 AE. Quello di Melendugno è un progetto pilota, fortemente voluto dalla Regione Puglia e da Legambiente Puglia in collaborazione con l’AQP e il Comune di Melendugno, ed è attualmente il più grande non solo in Italia, ma addirittura in tutta Europa. Il progetto, chiamato “io fitodepuro!”, sfrutta una zona umida, boschiva e di macchia mediterranea già esistente e si sviluppa pertanto nell’ottica della riqualificazione ambientale, donando al territorio locale un habitat potenzialmente idoneo alla presenza stanziale di differenti specie animali, grazie anche alla sua collocazione strategica nella dinamica dei flussi migratori dell’avifauna. Le specie vegetali utilizzate nell’impianto di Melendugno appartengono alle categorie delle elofite e idrofite e sono: la Cannuccia di palude (Phragmites australis), la Stiance o Mazzasorda (Typha latifolia), il Giunco palustre (Juncus effusus), la Lenticchia d’acqua (Lemna spp.) e la Nifea bianca (Numphea alba).

L’impianto di Melendugno è stato inoltre realizzato nel rispetto del Piano di Tutela delle Acque (PTA) della Regione Puglia e adotta la strategia delle 4RRiduzione degli sprechi e dei consumi; Recupero qualitativo e quantitativo; Riuso delle acque reflue; Rispetto, ovvero diffusione delle cultura dell’acqua.

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Specie vegetali utilizzate nell’impianto di Melendugno. Fonte opuscolo informativo “io fitodepuro!”.

Come ogni cosa, anche la fitodepurazione ha purtroppo dei limiti. Il principale svantaggio di questo sistema è sostanzialmente la necessità di grossi spazi. Per gli impianti a flusso sommerso SFS ad esempio occorrono dai 2 ai 5 m2/AE, mentre per impianti a flusso superficiale (che sono i più utilizzati in Italia) occorrono addirittura valori che superano i 20 m2/AE. Si pensi infatti che l’impianto di Melendugno (21.250 AE) ricopre una superficie di ben 8,3 ettari!

Si può pertanto concludere che la fitodepurazione, specie se in ambito urbano, richiede elevate superfici territoriali che sono spesso costose da acquistare o addirittura non disponibili per motivi anche topografici e morfologici. Perciò, all’atto pratico, il sistema di fitodepurazione rimane ancora una soluzione impiantistica applicabile essenzialmente per piccole e medie utenze, cioè per impianti privati di civili abitazioni e per aziende agricole.

 


 

Fonti:

Ingegneri.info – La fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue agro-industriali (Prof. Maurizio Borin)

Wipipedia – Fitodepurazione

Regione Puglia e Legambiente Puglia – Opuscolo informativo “io fitodepuro

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

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