Il Grand Tour settecentesco: visioni salentine

La seconda parte de Il Grand Tour settecentesco in Terra d’Otranto (vedi la prima parte), propone un percorso affascinante, volto a riscoprire il paesaggio naturalistico dell’antica giurisdizione del Regno di Napoli durante il XVIII secolo, attraverso le memorie di quattro viaggiatori settecenteschi. Costoro non hanno intrapreso tutti lo stesso percorso: per tale ragione sarebbe opportuno riportare una descrizione analitica del loro itinerario.

  • Il primo viaggiatore, il filosofo irlandese George Berkeley, arriva in Terra d’Otranto nell’anno 1717; egli giunge da Monopoli, scendendo da Ostuni e passando da Egnazia, Brindisi e Lecce. Riparte per Taranto, percorrendo l’entroterra, visitando così i paesi di Guagnano, Bracciano1, Casalnuovo2, Oria e, infine, costeggia San Giorgio3 prima di arrivare a destinazione.
  • Nel 1767 invece è il prussiano Johann Hermann von Riedesel barone di Eisenbach ad approdare nella penisola, sbarcando a Taranto. Da lì, sempre per via mare costeggia l’Arneo fino ad arrivare al porto di Gallipoli4. Congedati i suoi marinai intraprende l’itinerario salentino a cavallo, giungendo ad Otranto; percorre l’antica via Traiana Calabra – che egli chiama Appia -, passando da Martano, arrivando prima a Lecce e in seguito Brindisi. In quest’ultimo tragitto troverà sul suo percorso un paese che egli chiama San Pietro della Lama5.
  • L’inglese Henry Swinburne segue invece un percorso assai originale: giunto a Taranto da Napoli, risale tutto il Metaponto con lo scopo di visitare anche la Calabria e la Sicilia. Compiuto quest’itinerario s’imbarca a Messina il 22 maggio 1777 sulla Nave Francesco, costeggiando Capo Spartivento – il lembo estremo della Calabria – e arrivando a Gallipoli il 25 dello stesso mese. Percorre così l’entroterra salentino, visitando Nardò, prima di arrivare ad Otranto; parte per Lecce passando dai Laghi Alimini e, una volta giunto a destinazione, risale la costa adriatica passando da Brindisi.
  • Ultimo dei quattro viaggiatori è l’abate francese Jean-Claude Richard de Saint-Non, il quale arriva in Terra d’Otranto l’anno 1778. Percorrendo lo stesso tratto iniziale di Berkeley, una volta giunto a Lecce, decide di continuare un suo personale viaggio nel “Tallon de la Botte“, visitando, oltre a Squinzano (tra Brindisi e il capoluogo salentino), i piccoli paesi di Muro Leccese, “Soletta” (ossia Soleto) e “Moglie” (cioè Maglie); visita anche piccoli casali un tempo abitati, situati sulla via istmica collegante Otranto a Gallipoli: si tratta di Morigeno (nei pressi di San Cassiano) e di Sombrino (tra Collepasso e Supersano). Giunto nella cittadella portuale di Gallipoli, risale il litorale jonico visitando “Porto di Cesare” (ovvero Porto Cesareo), “Vetrano” (Avetrana), Casalnuovo, Oria e San Giorgio, arrivando infine a Taranto.

VISIONI SALENTINE SETTECENTESCHE

L’itinerario paesaggistico settecentesco riproposto nel seguente articolo propone, dunque, un interessante catalogazione delle memorie di questi quattro viaggiatori del Grand Tour, proponendo quattro affascinanti direttrici, aventi come capisaldi i principali centri abitati dell’antica terra Terra d’Otranto (ossia Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli e Taranto).

Il Grand Tour tra Brindisi e Lecce

Il piccolo centro di Squinzano in una illustrazione del 1778. Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Il piccolo centro di Squinzano in una illustrazione del 1778. – Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

In generale quest’area salentina non offriva grandi emozioni ai viaggiatori settecenteschi. Anzi. Infatti dai loro resoconti si possono ricavare opinioni al quanto critiche ad un paesaggio pianeggiante ed esclusivamente utilizzato ad un’intensiva fabbrica agricola. Dei pochi paesi visitati nella zona, solo il piccolo centro abitato di Squinzano riceve l’apprezzamento dell’abate francese Saint-Non, mentre San Pietro della Lama, seppur citato da von Riedesl, non si hanno particolari annotazioni. L’impressione che ha Henry Swinburne del paesaggio circostante è decisivamente negativa:

Da Lecce a Brindisi vi sono 24 miglia, passando per un triste cammino, mal popolato e ancor più male coltivato; anche le parti che non lo sono affatto, sono ricoperte da fitti cespugli; mentre noi avanziamo, il paesaggio è migliorato ai nostri occhi, benché non perde giammai il segno della miseria e dello spopolamento.

Il prussiano Johann Hermann von Riedesel  si limita invece ad una modesta sintesi del paesaggio, incentrando maggiormente il suo interesse sui resti archeologici dell’area interessata:

Da Lecce a Brindisi corrono 24 miglia; tutto il tratto tra queste due città è coverto di oliveti. Fino a mezzo cammino, ossia fino al villaggio di San Pietro della Lama, ad ogni passo, si veggono avanzi dell’antica via [la Traiana Calabra] e rovine di tombe.

Anche l’abate Saint-Non sembra non gradire particolarmente il contesto paesaggistico in cui è circondata la cittadina di Squinzano:

Noi partiamo da Brindisi il 2 maggio, e dopo aver attraversato una piana deserta nello spazio di 15 miglia, arriviamo a Squinzano, un villaggio molto bello, dove troviamo un bel paesaggio della piazza principale. Ripartiamo sulla nostra rotta dentro questa eterna piana assai triste, e che è interamente ricoperta da Oliveti.

Viceversa l’irlandese George Berkeley non lascia trasparire le proprie impressioni personali, riportando con molta obiettività una descrizione analitica di ciò che offre il panorama dell’area posta tra la città adriatica e il capoluogo salentino:

Abbiamo lasciato Brindisi alle 16.06. Un ponte su uno stretto golfo del mare. Olive e grano. Vigne, grano e alberi di fico. Pascoli e fiori gialli. Grano, fave e avena. […] tutta terra aperta. Suolo sabbioso e arido. Qui e lì, del grano. Piccoli arbusti, ma nessun albero. Un’ampia e vasta pianura. Carciofi selvatici. […] Ore 19.15: boschetto di ulivi. Gli alberi di questa zona, come gli altri boschetti di ulivi, sono grandi e molto vecchi. Grano a sinistra e viti a destra. Piccole fattorie e ville più numerose del solito. Alberi di fico, pere moscatelle, vigne. Un villaggio. Aloe indiano molto comune qui, come in altri posti. […] Tante stoppie a destra e a sinistra. Uliveto, viti, fichi, peri, meli, ecc. Presse per il vino. Ore 20.30: dappertutto non vediamo che uliveti, grandi vigneti e campi di grano. Un ampio tratto di campagna aperta, grano, pascolo, alberi da frutta. A mezzanotte siamo a Lecce. Abbiamo dovuto aspettare un pò prima che aprissero le porte.

Il Grand Tour tra Lecce e Otranto

Maglie in un'incisione settecentesca di Luis-Jean Desprez.

Maglie in un’incisione settecentesca di Luis-Jean Desprez. – Fonte: www.forumambiente.altervista.org

Mentre Jean-Claude Richard de Saint-Non e Johann Hermann von Riedesel scelgono un itinerario interno, visitando alcuni paesi dell’entroterra della Grecìa salentina: il primo, partendo da Lecce in direzione Otranto, visita Soleto e Maglie; il secondo invece facendo il percorso inverso rispetto all’abate francese, passa da Martano, sulle tracce dell’antica via Traiana Calabra. L’inglese Henry Swinburne invece percorre l’itinerario costiero, passando dai Laghi Alimini e l’odierna Riserva Naturale Le Cesine. Generalmente si hanno sommariamente note positive, sebbene qualche critica è offerta proprio dallo stesso Swinburne:

Ho continuato il mio viaggio verso Lecce, lungo un grande bacino che comunica con il mare; tutto intorno si vedono in lontananza delle terre inutili, che producono solo quercia, una specie chiamata ilex coccifera [leccio]. Questi arbusti erano in tutta la loro bellezza, coperti di kèrmes scarlatti5, o una falsa coccoidea, che abbonda in tutto il paesaggio, della stessa specie che si trova in Andalusia e in Linguadoca.

Il barone di Eisenbach rimane favorevolmente colpito dall’espressiva bellezza dei posti che incontra sul suo cammino:

Da Otranto a Lecce che dista trenta miglia; continuai il mio cammino a cavallo perché le vie non mi permisero di servirmi della vettura. Lungo il cammino si riconosce la continuazione della via Appia [ossia la via Traiana Calabra] che andava da Brindisi ad Otranto; ne sono conservati dei frammenti e, a destra ed a sinistra, si osservano tombe rovinate. Martano è un bel villaggio […] Nei dintorni di Martano si trovano in gran quantità medaglie e pietre incise, che, nella massima parte, sono dell’epoca romana. I villaggi tra Otranto e Lecce sono i più belli di tutta l’Italia […] il Paese è molto ben coltivato e sembra un giardino continuo. L’istesso giorno arrivai a Lecce.”

Della stessa opinione è l’abate Saint-Non , il quale – ammaliato dalle seducenti visioni paesaggistiche – decanta siffatta meraviglia:

Prima di giungere ad Otranto, si scende in una valle che è un vero Paradiso terrestre, una vera valle dei Campi Elisi. La Natura in nessun altro luogo è così ricca e generosa: alberi di ogni specie, piantati gli uni accanto agli altri nei campi di grano o in mezzo alle vigne che vegetano ancora meglio sotto questa ombra molteplice. I pini, i limoni, gli aranci, i fichi erano così alti che li scambiammo per alberi di noce. L’aria dolce della primavera, l’odore delle zagare ed il canto dell’usignolo finivano di ornare ed abbellire questa bella valle degna di essere cantata più che descritta.

Il Grand Tour tra Otranto e Gallipoli

Antica incisione della cittadella di Otranto. Fonte: www.culturasalentina.wordpress.com

Antica incisione della cittadella di Otranto. – Fonte: www.culturasalentina.wordpress.com

Gli apprezzamenti rivolti al panorama otrantino da parte dell’abate francese, sono ben volutamente condivisi anche da Swinburne e von Riedesel.  Entrambi partono da Gallipoli per giungere ad Otranto, mediante un itinerario latitudinale che spacca l’intera penisola, passando da Nardò. Viceversa Saint-Non – partito dalla ridente cittadina adriatica in direzione del litorale jonico – percorre un sentiero a sud di Maglie, passando dai casati di Morigeno e Sombrino, per risalire poi fino a Gallipoli. Questo squarcio di Salento è così descritto dallo scrittore britannico Swinburne:

La larghezza della Penisula all’altezza di Nardo è di circa 35 miglia; il Paese è scoperto, e la strada viene interrotta da qualche piccolo boschetto di querce a foglie seghettate. Abbiamo attraversato diversi villaggi, ma non ho visto nulla che è stato in grado di catturare la mia attenzione. Avvicinandosi al Mare Adriatico, il paesaggio diventa triste a causa della grande quantità di muri costruiti senza malta che dividono i campi. Nei pressi d’Otranto, i giardini pieni di aranci dispongono una visione più lusinghiera, e un ruscello che scorre verso il mare, finisce tra i muretti, e conserva ancora il suo antico nome Hydro.

Nelle memorie del prussiano von Riedesel si riscontra un particolare interesse nei confronti di evidenze archeologiche e storiche, dalla via Traiana Calabra, da lui grossolanamente detta via Appia, ad antiche vestigia e reperti di epoca classica:

Feci il viaggio da Gallipoli ad Otranto (Hydruntum) a cavallo per un percorso di 36 miglia. A sei miglia da Otranto si veggono frequenti e notevoli vestigia dell’antica via che i Romani avevano costruita da Taranto a Hydruntum; via che stabiliva una comunicazione tra i due mari. È, come la via Appia, e come tutte le antiche vie dei Romani, pavimentata di grosse pietre irregolari; a destra ed a sinistra, vi è una quantità di tombe; non ne ho notato se non una sola conservata, di forma quadra, e sormontata, al di sopra della sua volta, da un piano di pietra. Tutte le altre, di forme diverse, rotonde, quadrate, bislughe sono rovinate e senza iscrizioni. La campagna tra Otranto e Gallipoli è fertile di ulivi […]. I dintorni di Otranto sono deliziosi: vi sono molti vigneti e giardini; Le montagne di Albania, che un canale di sessanta miglia separa da Otranto, e che sono perennemente coverte di neve, si veggono molto chiaramente.

L’abate Saint-Non, invece, s’imbatte in un altro paesaggio mozzafiato, che gli consente di perlustrare lunghe distanze da un’altopiano salentino sito nei pressi di Sombrino:

Otranto non offre più nulla di abbastanza interessante per intrattenerci ancora, e siamo partiti risalendo il fiume Hydrum, che ha dato il nome Hydrontum al villaggio. Il fiume si perde e scompare ogni momento tra giardini che sono resi fertili dalle sue acque. Allora il fiume si divide nei canali, che si trovano in questa parte d’Italia chiamata il Tacco dello Stivale [Tallon de la Botte]. Ritorniamo sui nostri passi a Morigeno; […] Siamo rimasti per cena a Sombrino […]. Dopo Sombrino il terreno si rialza, e quando siamo arrivati in cima a questa elevazione, scopriamo, nello spazio di un chilometro e mezzo, il mare su entrambi i lati della Terra d’Otranto, i monti albanesi e quelli della Calabria. Su questo lato la vista è fantastica, noi vediamo Gallipoli da un piano rialzato, completamente ricoperto da oliveti.

Tra Gallipoli e Taranto

Veduta del porto di Taranto nel 1778. Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Veduta del porto di Taranto nel 1778. – Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

In questo itinerario i viaggiatori stranieri scelgono tre diverse alternative: von Riedesel intraprende il suo cammino imbarcandosi a Taranto per poter raggiungere Gallipoli; l’abate Saint-Non invece, facendo il percorso inverso al barone prussiano, percorre il litorale jonico, passando da Porto Cesareo, per addentrarsi poi nell’entroterra in direzione Casalnuovo (dunque si potrebbe supporre che egli ha intrapreso l’antica via Sallentina); mentre Berkeley, che anch’egli arriverà all’odierna Manduria, predilige un sentiero interno, visitando il piccolo centro abitato di Guagnano. Interessante il monologo intrattenuto su Aulon dal Barone di Eisenbach (che verrà anche ripreso dall’abate francese, quando giungerà nell’odierno capoluogo della provincia jonica6):

Il 23 maggio continuai il mio viaggio e la rotta per Gallipoli; vidi, passando, la riviera di Taros, da cui la città di Taranto deve aver preso il suo nome. Non si è potuto decidere positivamente se Aulon,

…amicus Aulon

Fertili Baccho minimun Falernis

Invidet uvis

(Hora t. Carm. II 6)

era un vento, un fiume, o soltanto la contrada che produceva questo vino. Ho cercato invano di poter chiarire questo punto. Un tale nome è affatto sconosciuto, mentre, a Taranto, non vi ha chi non conosca il Tara ed il Galeso. L’Aulon ha potuto ben essere un ponticello, come il monte Falerno, sebbene oggi le vigne di questa contrada sono tutte piantate in pianura.

La costa jonica si presenta così agli occhi dell’abate francese Saint-Non:

“[Partiti da Gallipoli] lasciamo sulla sinistra il piccolo centro di Nardò e andiamo a cenare a Porto di Cesare [Porto Cesareo], dopo aver attraversato una zona piuttosto triste. […Lasciato Porto Cesareo] abbiamo attraversato un bosco, o meglio delle brughiere dall’elevata altezza, che coprono l’intera area, rendendola selvaggia e inabitabile, seppur con le braccia e con un pò d’incoraggiamento potrebbe diventare una buona terra. Arriviamo a Vetrano […] Non avendo trovato più nulla di interessante a Casalnuovo, ad eccezion fatta di queste Rovine dell’antica città di Mandurium, di cui abbiamo già parlato, siamo rimontati sul cavallo per continuare il nostro viaggio, dopo aver lasciato sulla nostra destra il borgo di Oria, passiamo per il villaggio di San Giorgio, che è a dieci miglia, per poi scoprire quasi subito Taranto in una splendida posizione, circondato da una costa piacevole, sorridente e fertile, tra due mari, altrettanto belli, e altrettanto ricchi di produzioni sia dall’una che dall’altra parte. La sua posizione risponde perfettamente all’idea che ci eravamo fatti di Taranto.

Viceversa, George Berkeley – come già detto – percorre l’entroterra salentino, riprendendo lo stesso percorso fatto dall’abate Saint-Non solo quando arriva a Casalnuovo:

28 maggio. Ore 08.30: siamo partiti da Lecce. […] Ore 11.25 siamo passati per Guagnano, un villaggio dalle dimensioni considerevoli e ben costruito. Strada pietrosa, grano, viti, alberi di fico. Muretti come siepi. Campagna aperta, erba bruciata, come in realtà un pò dappertutto; un piccolo gregge di pecore; grandi vigneti a destra e a sinistra. Noci; a sinistra, grandi campi di grano; dietro, degli alberi e dietro gli alberi una città abbastanza grande. Grano a destra e a sinistra. Fave. Ore 12.50 un bosco, querce ed altra flora; alberi radi, tanto sottobosco, buoi e mucche, grandi uccelli simili alle gru. Alle 14.00 abbiamo visto Bracciano [Ruggiano?], un piccolo villaggio. Alle 16.00 siamo partiti. […] 29 maggio. Ore 07.05: Casalnuovo […] Ore 10.05: Oria. Sorge su una collina rocciosa […] Splendida vista che lascia scorgere Gravina, Brindisi, Lecce, eccetera […] Una piccola discesa, uliveto. Grano e ortaggi. Il golfo di Taranto all’orizzonte. Grandi vigneti a destra e a sinistra. Pastura inaridita e disseccata. A sinistra, San Giorgio, una cittadella discreta. Terreno pietroso e cespuglioso. Ore 19.00: giungiamo ad uno dei rami del golfo, sulla nostra destra. Grande distesa di grano. A distanza, ulivi a sinistra su una leggera altura. La catena di rilievi continuava dall’altra parte del mare […] Tanti grossi ulivi tra il grano. Vigne ed alberi di fico […] giardini, conventi, case.

Dopo aver ritratto un’inedito paesaggio settecentesco della Terra d’Otranto, visto con gli occhi dei quattro viaggiatori stranieri, nei prossimi episodi saranno loro stessi, mediante le loro impressioni e i loro gusti eclettici, a fornirci un dipinto soggettivo dell’architettura e della bellezza estetica delle città salentine nel XVIII secolo.


NOTE

1 George Berkeley, essendo di passaggio tra Guagnano e Manduria, con Bracciano vuole forse indicare l’antica contrada di Ruggiano, situata a nord dell’odierna Avetrana.
2 Era chiamato Casalnuovo il nuovo borgo dell’antica città messapica di Manduria. Il paese fu ribattezzato col suo vecchio nome grazie alla disposizione di un decreto reale del 17 novembre 1789 di Ferdinando IV di Napoli.
3 Si tratta di San Giorgio Jonico. Da non confondere con un’altro San Giorgio situato sempre nel feudo di Avetrana: oltre alle stesse San Giorgio e Vetrano e alla già citata Ruggiano, vi erano molte altre contrade un tempo abitate: Santa Maria, Modunato, Frassanito, San Nicola, San Martino, San Giuliano, Monte di Rena.
4 Giunto a Gallipoli, Johann Hermann von Riedesel congeda i marinai con una lauda ricompensa:

Dopo che ebbi dato loro [ai marinai] quaranta once di Napoli, per un cammino di seicento miglia, e per un mese di perdita di tempo, essi ripartivano per i loro paesi, molto soddisfatti e ritenendosi molto ricchi.”

5 Considerando che von Riedesel percorre l’itinerario che da Lecce porta a Brindisi, si tratta certamente di San Pietro Vernotico, e non di San Pietro in Lama (che invece si trova nei pressi di Lequile, ad ovest di Lecce). Tuttavia non è chiaro se si tratta di una svista del viaggiatore prussiano o di un errore di trascrizione durante la riproduzione delle copie.
6 Il kèrmes, detto anche Vermiglio della quercia, è un insetto omottero della famiglia kermesidae (coccoidea). Questa specie viene raccolta, essiccata e polverizzata per usarla come colorante (lacca kermes). Lo stesso colorante è usato per conferire la colorazione all’alchermes, uno dei liquori di maggior impiego in pasticceria. – Wikipedia
7 Ecco il pezzo ripreso dalle memorie di Jean-Claude Richard de Saint-Non:

“[…] aussi les vins qui croissent dans les environs et sur le Côteau d’Aulon si favorisé de Bacchus, ne le cèdent-ils en rien aux vins de Falerne.


BIBLIOGRAFIA

Author: Alessio Sacquegna

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