Il Grand Tour settecentesco: Brindisi

Attraverso le memorie dei viaggiatori settecenteschi nelle prossime sezioni del Grand Tour settecentesco in Terra d’Otranto si andrà alla riscoperta degli odierni capoluoghi di provincia che un tempo erano compresi nell’antica giurisdizione del Regno di Napoli. La prima tappa di questo percorso è Brindisi, importante centro portuale dell’Italia meridionale e della fascia adriatica, in particolare durante il periodo ellenistico e romano. In seguito, in epoca medievale e moderna, a causa anche dell’otturazione del suo porto naturale, cade gradualmente in disgrazia. Nel 1860 entra a far parte del Regno d’Italia, diventando provincia durante il ventennio fascista; Dopo l’armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) e la successiva occupazione nazista dell’Italia, il re Vittorio Emanuele III – scappato da Roma e rifugiatosi nella cittadina adriatica – eleva Brindisi a capitale del Regno del Sud (ciò che rimaneva dell’Italia sotto il controllo di casa Savoia), in quanto il territorio salentino era stato precedentemente liberato dagli alleati con una manovra militare, detta operazione Slapstick.  Oggi la ridente cittadina di Brindisi, col suo splendido porto naturale è capoluogo dell’omonima provincia, e vanta circa 88.611 abitanti1.

BRINDISI NEL SETTECENTO

ATTRAVERSO LE MEMORIE DEI VIAGGIATORI

Breve descrizione della città

Ingresso di Brindisi nel 1778. Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Ingresso di Brindisi nel 1778. – Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Nel XVIII secolo la ridente cittadina di Brindisi era ormai solo l’ombra di quella Brundusium romana che ebbe un prestigioso riconoscimento, considerata col suo porto la regina dei mari, sotto i vessilli della Roma repubblicana, ma anche imperiale. Così l’abate francese Jean-Claude Richard de Saint-Non evidenzia il suo trascorso glorioso:

“Noi arrivammo al porto di Brindes, cioé Brindisi o Brundusium, che fu celebre nell’antica Roma, perché qui si equipaggiavano le flotte più formidabili e da qui partivano per la navigazione dall’Italia verso la Grecia, e in tutto l’Oriente: il suo porto è un vero miracolo della natura, dentro un paese così unito e così sensibilmente riparato. […] Fu la presa di Brindisi da parte dei romani, che una volta portata a termine la donarono all’Italia, a dare loro un terminale per il proprio Impero come anche all’Italia stessa. È assai facile capire quale importanza doveva avere, dal momento che indipendentemente da questo, c’era allora lì il più bel porto dell’Adriatico; il possesso di Brindisi metteva i romani in una botte di ferro, non solo in modo da prevenire le incursioni greche, ma ancor più, di dotare le proprie flotte per andare all’attacco di quest’ultimi nel loro Paese.”

Lo stesso Saint-Non fornisce un’ulteriore descrizione geografica dell’ambiente su cui sorge Brindisi:

“Si sviluppa tutt’ora dentro una grande rada formata da due moli isolati e naturali su cui un castello, costruito su uno dei due, difende l’abbordo, cosicché anche l’entrata della stessa rada da dove si può uscire dove lì entra il vento. In fondo a questo porto c’è un canale che comunica con un bacino in semicerchio di cui la città è circondata, e qui produceva in altri tempi il più magnifico spettacolo, quello delle numerose flotte fastosamente ancorate ai moli di questa città.”

La struttura geomorfologica di Brindisi è rimasta invariata nel tempo, tant’è che già qualche decennio prima venne descritta dal filosofo, teologo e vescovo irlandese George Berkeley, sulla scorta di fonti romane:

L’isola dinnanzi al porto di Brindisi è menzionata già da Cesare (Bell. Civ., I.3). Vi hanno risieduto prima Libone e poi un altro degli ammiragli di Pompeo […]. È di qui che di solito ci si imbarca per la Grecia, arrivando nella città di Illyricum Dyrrachium, oggi Durazzo. […] Come ha detto Strabone, il porto e la città sembrano corna e testa di un cervo.

Invece Henry Swinburne sostiene una propria riflessione sulla formazione geologica dell’ambiente che circonda e in cui sorge la stessa Brindisi, la cui forma è sin dall’antichità associata alla testa di un cervo:

Il nome Brindusium, il quale significato proviene dalla lingua messapica, ossia ‘testa della bestia selvaggia’, prende, si dice, la sua origine dalla forma del porto. Io penso che probabilmente questo porto ha assunto questa forma dopo un terremoto, che ha spinto una parte del terreno che poi l’acqua ha ricoperto; perché tutte le colline dei dintorni sono esattamente sullo stesso livello, e le corna che formano lo stesso sono corrispondenti e parallele.

Il porto di Brindisi

Il Castello di Brindisi nel 1778. Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Il Castello di Brindisi nel 1778.  – Fonte: Voyage Pittoresque di Saint-Non.

Benché in epoca romana Brindisi ricopriva un importante ruolo strategico, sia sul piano militare quanto economico, la città subisce un notevole ridimensionamento durante l’età medioevale. Ciò avvenne perché il suo porto era ormai reso impraticabile, e questo era dovuto a fatti bellici che coinvolsero la Brundusium romana e la Brindisi medievale. Teatro di diverse battaglie, gli assedianti e gli assediati, al solo scopo di negare al proprio nemico il controllo dell’accesso portuale, cercarono di bloccarlo con ogni mezzo fortuito. Il risultato di queste pratiche fu assai devastante per la stessa città: se un tempo il porto era il suo fulcro economico, ben presto diventò sinonimo di disgrazia e sventura. A pagarne le conseguenze furono i suoi abitanti, poiché il bacino interno divenne ben presto una palude, arma batteriologica portatrice di ogni sorta di malattia. Dalle memorie di Johann Hermann von Riedesel, benché riconosce l’importanza di Brindisi, emerge solamente la triste situazione in cui versava questo paese nel Settecento:

Questo Brundusium, che, a cagione di tutti questi vantaggi, deve essere stato anticamente un centro molto popoloso, oggi, non è se non un piccolo paese molto malsano di circa 9.000 anime e la cui rada non può ricevere che le barche dei pescatori ed, a stento, si riconosce la forma e la grandezza dell’antico porto nel mezzo dello stagno sabbioso che il mare ha formato sul suo sito. […] Il porto, oggi, si trova in uno stato deplorevole, come ho già osservato, e non si può usarne; aggiungo che, per la sua posizione speciale, i vascelli vi erano molto al sicuro; era assai vasto, per quanto la sua estensione non egualia quella dei porti di Taranto, di Siracusa, di Augusta e di Messina. […] L’aria di Brindisi è malsana durante tutto l’anno, ma nella estate, in ispecie, è la più dannosa di tutta l’Italia, e la guarnigione, che si muta ogni tre anni, vi lascia la metà dei suoi uomini.

Era il 1767 quando il barone di Eisenbach espresse questo giudizio negativo; tuttavia le cose non sembrano essere cambiate qualche anno dopo, ossia nel 1778, quando arrivò in città l’abate Saint-Non:

C’è poco di notevole a Brindisi che un vecchio castello costruito da Federico II, e un altro sul molo fatto da Alfonso di Aragona. Ciò che resta è solamente l’aria di questa città che si è fatta più malsana e soprattutto, che abbiamo potuto attribuire allo stato deplorevole in cui questa versa, è stata lasciata al suo destino per così troppo tempo.

Circa un anno dopo giunge a Brindisi lo scrittore e viaggiatore britannico Henry Swinburne, il quale, oltre a spiegare le cause che avevano favorito l’impraticabilità del porto pugliese, ci descrive una situazione ancor più drammatica delle conseguenze belliche, che hanno colpito in disgrazia la città e la sua popolazione:

Lo stretto del porto è ostruito da materiale di produzione e solo tutti i mali affliggono questa città desolata. Cesare fu il primo a rovinarla, perché lui voleva bloccare la flotta di Pompeo. Formò sulla lingua di terra, dentro i due canali delle colline, un trinceramento con della terra, degli alberi e delle rovine di case. Quando il blocco venne portato a termine, Pompeo trova il segreto per scappare, e partì verso la Grecia. Nel XV secolo, il principe di Taranto fece colare a fondo qualche vascello nella zona del passaggio per impedire ai realisti di entrare dentro il porto, e formò così un luogo di soggiorno per la sabbia e le piante marine, che accumulandosi per bene hanno posto un blocco all’ingresso e reso impraticabile a qualunque vascello di passare. Nel 1352 questo disturbo si era accresciuto fino ad impedire anche alle onde di entrare, e tutte le comunicazioni furono tagliate, ad eccezione del furioso vento dell’est che durante le stagioni pluviali portava acqua fresca, aumentando il loro livello ordinario. In quest’epoca Brindisi è diventata un lago verdastro e fetido, pieno di infezioni e di insetti velenosi; Non vi possono vivere altri pesci oltre alle anguille e le barche che vi possono navigare, sono zattere fatte di un solo albero nelle quali non può salire che una sola persona; non era possibile muovere i vascelli senza rischiare, in quanto la più piccola irregolarità può causare un ribaltamento. Le terre basse in ciascuna estremità, sono state sommerse e coperte di paludi, i cui vapori maleodoranti causano ogni sorta di malattia pestilenziale, che nel corso di pochi anni, ha prevalso e bandito la maggior parte degli abitanti. Dal numero di 18.000 abitanti, con molte vite spezzate, nel 1766, raggiunsero ad un numero di 5.000 infelici, sfortunati, tormentati da febbre acuta e maligna. Nel 1778, sono morte durante l’autunno all’incirca 500 persone.

Questa situazione durava ormai da troppo tempo, tant’è che anche George Berkeley – giunto a Brindisi il 26 maggio 1717 – aveva già denunciato lo stato deplorevole di un porto ormai dismesso2. Ma qualcosa iniziava a cambiare nel 1778, quando arriva in città il Saint-Non3, ed infatti negli anni successivi erano iniziati i lavori per ridare al porto le sue antiche funzioni. Ed è Swinburne che testimonia dettagliatamente tale avvenimento:

Trent’anni fa, l’aria di Brindisi era sana, balsamica, tant’è che i monaci del convento di Napoli erano abituati a venire coi loro malanni in questa città per poter recuperare le loro forze e guarire. Infine c’è stata la miseria e la distruzione causando l’infelicità tra il resto dei cittadini che implorarono il soccorso di don Carlo De Marco, uno dei ministri del re, nato a Brindisi. In conseguenza alla loro domanda, fu ordinato a don Vito Caravelli, di fare un piano e di stanziare del denaro per riaprire il porto. Don Andrea Pigonati fu incaricato l’anno scorso per eseguire il progetto; e con l’aiuto dei macchinari e il lavoro degli schiavi galeotti, lui è riuscito in qualche modo nell’impresa. Lo stretto è stato dunque pulito, e adesso ha due braccia d’acqua. Possono entrare le grandi barche, e questo è un grande passo verso la rinascita del commercio, ma ciò che è d’una importanza più immediata, ha donato un passaggio libero al mare, e oggi i flussi con grande impetuosità mettono in movimento l’acqua del porto interiore, rendendola ancora una volta salubre. Al momento i parapetti sono difesi da palizzate e fascine; ma il piano da seguire, sarebbe una difesa con mura di pietra; don Andrea mi ha accolto con grande gentilezza ed è puro nel cuore: in lui non vi è alcuna pena; ha investito del denaro nel suo mandato ed è stato molto abile nella sua arte, sperando che le opinioni patriottiche di coloro che usano il porto non saranno né vane, né illusorie. Se la sua opera sarà ben difesa dalla violenza del mare, avvalendosi di un buon metodo per deviare gli accumuli di sabbia che ciascun flusso apporta, tale impresa sarà onorevole al ministro che l’ha promossa, e agli ingegneri che l’hanno eseguita. Ma, con un buon e attento esame, mi sembra incerto che l’opera sia al riparo da incidenti, e che ci vorrà una considerevole spesa annuale al fine di mantenerla. Se il canale sarà bonificato ad una profondità considerevole, e i pilastri saranno solidamente fondati, i vascelli, col loro carico, potranno entrare nel porto, che offre un’estensione considerevole per una flotta intera. Con un poco di scavi nel bacino e nei cantieri, le merci potrebbero essere imbarcate direttamente sui moli, e la costruzione di pochi abbeveratoi sarebbero comodi per far cambiare l’acqua ai vascelli. Solo allora i negozi diverranno piazze commerciali, e dunque sarà degno porre l’attenzione, in spazi che non mancano in questa città dove edificare dei banchi commerciali. La circolazione del denaro donerà vigore all’agricoltura, e i depositi abbonderanno di merci. La sabbia ai piedi delle montagne che formano il canale saranno divise in letti per le cozze e le ostriche. Qualche ecclesiastico ha formato già dei vivai di arance e limoni, e altri cittadini potranno intraprendere la coltura dei gelsi e l’allevamento dei bachi da seta. Tuttavia l’ingegnere ha fatto molto poco per la salute di Brindisi, poiché alcune paludi persistono nelle estremità della rada, infettando ancora l’aria; lui ha ricolmato le altre paludi con della terra e costruito una conca per far ritirare le acque, prevenendo il loro trasbordo nelle pianure. Nonostante ciò la gente di Brindisi, sensibile al bene che ha già prodotto questa operazione, sensibile al ritorno della salute che già è venuta, e vede nell’avvenire una speranza di ricchezza e di commercio, sembra essere già presa a riconoscere i propri obblighi; loro vogliono erigere una statua al re, con un’incisione sul piedistallo in onore al ministro e agli ingegneri. Nella pulizia del canale, gli operai hanno trovato alcune medaglie e alcuni manufatti antichi; loro hanno anche rimosso alcune palizzate fatte fare da Cesare, che sembrano essere ancora fresche come se fossero state tagliate da un mese, quando in verità sono rimaste sepolte per oltre 1800 anni per circa sette piedi sotto la sabbia.

L’immagine delle città, tra Brindisi e Brundusium

Nel Settecento Brindisi era sicuramente una città trascurata, a causa delle sciagure che recava il porto dismesso. Tuttavia era una città dalla doppia personalità: la decadente e moderna Brindisi e la decaduta ed antica Brundusium. Una sorta di Valdrada calviniana, eternamente riflessa in quel bacino che ormai era diventato uno stagno d’antiquariato, e che doveva assolutamente cessare di esistere al termine dei lavori avviati dagli ingegneri. Una città che non viveva nel presente e che oscillava tra il passato e il futuro, sovrapponendo nello stagnante riflesso del presente la gloriosa magnificenza dell’antica Brundusium al prodigioso avvenire di una nuova Brindisi. Due Henry Jeckill che vivevano in un Edward Hyde. Nel 1717 la città viene così descritta da Berkeley:

Due fortificazioni, la più recente è stata voluta da Alfonso, la seconda si trova su una lingua di terra a due miglia dalla città; si pensa siano le meglio fortificate di tutto il regno. Arcivescovato. Tra le reliquie del duomo, la lingua di San Girolamo e 12 teste di alcune delle 11.000 vergini al seguito di San Ursula. […] Diversi frammenti di antichi pilastri intorno alla città. Le chiese non sono granché […] Giro nella città vecchia, sette miglia di possenti mura circondavano la città, oggi ne restano molte meno e le strade e le piazze sono vuote. […] Due colonne in marmo bianco, una ancora integra, di ordine corinzio con un’urna sulla cima. Dell’altra resta solo il basamento e un pezzo del capitello, che è caduto ed è rimasto sulla base. Il crollo avvenne nel 1528 ma non fu causato né da temporali né da terremoti. Le parti intermedie della colonna, cadendo, si sparsero tutt’intorno e questo fu visto come presagio della rovina della città durante la guerra tra la Lega e Carlo V. […] Fidelitas Brundusina è il motto dello stemma sulle colonne.

La colonna di Brindisi in un acquerello di Louis Ducros (XVIII secolo). Fonte: www.viaggioadriatico.it

La colonna di Brindisi in un acquerello di Louis Ducros (XVIII secolo). – Fonte: www.viaggioadriatico.it

Ma erano le rovine dell’antica Brundusium ad affascinare particolarmente i viaggiatori, la cui principale attrattiva era la colonna romana che segnava la fine della via Appia. Nel 1767 è Johann Hermann von Riedesel a offrirci una sua descrizione:

Il più bello, o meglio il solo monumento dell’antica Brundusium, che si sia conservato, è una colonna di marmo bianco, di ordine romano e composito, elevata presso del porto, al fianco della quale ve ne era un’altra simile, il cui piedistallo è ancora a posto: la colonna è quella che è stata trasportata a Lecce. Quella che è ancora a posto a Brindisi, ha cinquantasette palmi e mezzo di altezza e cinque palmi e mezzo di diametro; il capitello è ornato, nei quattro angoli, con quattro divinità marine; nel mezzo, da ciascun lato, si trova un Dio con i suoi attributi, ossia Giove, Ercole, Nettuno e Plutone. Dalla posizione di queste colonne si potrebbe congetturare che abbiano servito da faro o fanale, in ispecie, se si considera che non si trova, in questi dintorni, nessun vestigio di qualche edificio considerevole.

Anche Jean-Claude Richard de Saint-Non sembra condividere la stessa opinione del suo predecessore:

Non vi resta più nulla di tutto ciò che fu di Brundusium, ad eccezione dei resti delle due colonne che erano state erette in questo luogo e che una delle due sembra essersi conservata come per miracolo, essendo assolutamente integra; ma non vi è più che il piedistallo della seconda, con un solo pezzo di ciò che era della colonna di cui altro non rimane, che in successive apparenze, pare che crollò a causa di un terremoto, ed è rimasta lì come sospesa e posata di traverso vicino al suo piedistallo. Queste due colonne di marmo bianco, alte 52 piedi erano senza proporzioni: le colonne erano molto alte per il loro diametro. Per quanto riguarda il capitello, anche se piuttosto rovinato, merita attenzione per la maniera in cui è composto. Ci sono quattro figure di Nettuno che formano con altrettante Cariatidi ogni angolo del capitello: altrettante figure femminili occupano entrambi i lati delle facce, e otto Tritoni formano gli ornamenti ad ogni angolo. Questo singolare capitello era sormontato da un piedistallo che poteva portare verosimilmente una statua, e che al giorno d’oggi non supporta nulla che una rovinata trabeazione. Ci sono diversi ragionamenti sull’utilità e l’utilizzo di queste colonne; Alcune persone hanno pensato che loro erano così alte per fungere da faro al porto, e questo sentimento è sostenuto sulla scorta che queste effettivamente si trovano in direzione del canale. Però è consuetudine giusto pensare che un fanale fosse piazzato nella parte del porto più esposta al mare, e queste colonne non erano in simile punto, essendo inoltre di un uso scomodissimo per il servizio della lanterna. Non sarebbe che piuttosto (ed è questo sentimento ad apparire il più verosimile) si trattassero di un terminale posto alla via Appia, che giungeva a Brindisi? Perché non era altroché un monumento eretto all’estremità di questa via pubblica, come ne era stato eretto uno a Roma per marcare la prima pietra miliare: d’altronde Brindisi era dentro questa parte di frontiera dell’impero, e qui continua ad essere per lungo tempo il solo porto dell’Adriatico dove i romani venivano per imbarcarsi. È giunta nei tempi moderni un’iscrizione posta su questo monumento, ma che non ci pare non avere alcun rapporto, né alcun chiarimento sul suo uso, così come il tempo in cui essa venne eretta.

Le sorti dell’altra colonna non sembrano coincidere: oscillano tra l’ipotesi di un crollo causato da un terremoto oppure l’altra che avanza la tesi di un suo cedimento strutturale; questo prima di esse ceduta al Capitolo di Lecce. In riguardo a tale dilemma Henry Swinburne sembra offrire una maggiore delucidazione:

Lì vicino a questa colonna ancora in piedi vi è un altro piedistallo, che ha le stesse dimensioni; ma non resta che una parte del fusto; il resto è stato venduto al popolo di Lecce dopo il terribile terremoto del 1456, che la riversò e distrusse una gran parte di questa città. Lo spazio dentro questi pilastri corrispondono all’entrata del rifugio. […] C’è poco che resta dell’antica Brindusium, ad eccezione di gran numero di colonne rotte, fissate agli angoli delle strade per difendere le case dalle carrette; dei frammenti di mosaici grossolani, pavimenti delle prime abitazioni; le colonne del faro, un largo bacino di marmo, dentro il quale l’acqua si vedono delle teste in ottone, che rappresentano delle bestie selvagge, qualche iscrizione, le rovine dell’acquedotto, delle medaglie, e di altre piccole parti pronte ad ornare le botteghe degli antiquari

Dunque il terminale romano non è l’unico relitto dell’antica Brundusium, anzi vi sono anche case, tombe, pozzi, acquedotti, mura e terme che testimoniano l’importanza di questa città in epoca romana, e che nel Settecento invece viveva all’ombra del suo antico splendore. Ciò è riscontrabile anche nelle memorie di Saint-Non:

Si vedono a destra le rovine di un pozzo antico che avrà fatto parte di una casa che si dice in paese fosse appartenuta a Cicerone; ma nulla è più certo: saremmo stati in grado di dimostrare che si trattava della stessa casa dove era morto Virgilio, solo se fosse stato possibile conservare la minima idea di una città che invece ha cambiato il volto in così tanto tempo, sia nel tempo delle guerre civili di Pompeo, sia in quelle di Marco Antonio, e che venne poi assolutamente distrutta da Totila, verso la metà del VI secolo. […] Ha ancora nella città qualche resto d’antichità, e non rimane altro in particolare delle rovine delle antiche terme, che sono al giorno d’oggi quasi interamente distrutte, così come l’acquedotto che portava l’acqua. Inoltre le mura costruite da Calo V, furono edificate proprio a spese di queste terme. Possiamo dire che il Principe ha devastato l’Italia, e demolito tutto ciò che era ricondotto ai monumenti per poter costruire in ogni dove dei grandi villani muri assai tristi quanto inutili.

Quell’antico pozzo, che si credeva facesse parte della casa di Cicerone, potrebbe essere stato descritto anche dallo stesso  barone di Eisenbach, il quale affermava:

Nei pressi della porta che mena a Napoli, si veggono gli avanzi di una costruzione in mattoni che sembra essere stata una conserva di acqua. Ecco, oltre ad alcune iscrizioni, tutto quello che resta dell’antica Brundusium.

Viene molto apprezzata dai viaggiatori settecenteschi anche l’architettura militare: l’imponente castello svevo, fatto erigere da Federico II in protezione della costa settentrionale, e che venne ristrutturato ai tempi di Carlo V, suscita particolare interesse; quello aragonese, invece, che venne costruito ai tempi di Alfonso I d’Aragona sull’isola di Sant’Andrea, non sembra avere lo stesso impatto sulle impressioni dei viaggiatori settecenteschi4. Anche l’architettura religiosa non ottiene grandi apprezzamenti da parte dei viaggiatori, e questo è dovuto anche al degrado in cui esse marciscono. Sulla Chiesa di San Giovanni al Sepolcro si esprime von Riedesel:

Si dice che la chiesa del Santo Sepolcro sia stata un tempio antico, di forma rotonda, e poiché è costruito a grosse pietre, a crudo, ossia senza calce, né cemento, la cosa sembra molto verosimile. Quel che vi è di certo è che questo edificio non appartiene ai buoni tempi dell’architettura; la sua forma non è perfettamente circolare, e non vi è portico all’entrata; essa descrive un semicerchio differente, che non fa corpo col resto della costruzione, il che gli dà una regolarità sgradevole. Si riconosce pure il cattivo gusto del tempo della decadenza delle arti, negli ornamenti dell’antica porta che, oggi, è murata. Questo edificio ha la volta, ed è interamente sostenuto da colonne di marmo.

Una descrizione della città la offre Swinburne, soffermandosi anche sul duomo di Brindisi, che egli sostiene sia stato dedicato a San Teodoro d’Amasea, benché oggi è conosciuto come Basilica della Visitazione e San Giovanni Battista. Consacrato da papa Urbano II nel 1089, la sua costruzione venne completata nel 1143. Seicento anni dopo, ovvero nel 1743, fu pesantemente danneggiato dal terremoto, per poi essere ricostruito e sottoposto a diversi restauri. Ecco le impressioni di Swinburne:

Brindisi è una grande città, se si considera l’estensione delle sue mura; ma le case abitate non riempono neanche la metà del recinto. Le vie sono allineate ma pavimentate piuttosto male; gli edifici sono poveri e rovinati; non ha né una chiesa né un edificio considerevole. La cattedrale dedicata a San Teodoro, è un elaborato di re Roger; ma l’architettura è molto brutta rispetto a quelle bellissime chiese che furono erette da questo re, il quale ha avuto la passione degli edifici. […] Vicino al porto si ergono le mura di un palazzo costruito da Walter Gautier de Brienne, con un orribile stile gotico; i materiali sono di pietra bianca, divisi per distanze regolari, da ampi strati di marmo nero.

Popolazione e usanze locali

La casa di Virgilio, C. Werner e C. Bertrand, 1875. Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

La casa di Virgilio, C. Werner e C. Bertrand, 1875. – Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

In base alle memorie dei viaggiatori settecenteschi è possibile fare alcune considerazioni circa il numero degli abitanti che hanno vissuto a Brindisi nel XVIII secolo. Intorno al 1717 il filosofo irlandese, George Berkeley, sostiene che la città di Brindisi poteva vantare un numero approssimativo oscillante tra i 4’000 e i 5’000 abitanti; cinquant’anni dopo, nel 1767, anno in cui giunge in città il prussiano von Riedesel, egli sostiene che la città aveva incrementato il numero della sua popolazione arrivando a vantare circa 9’000 anime. Qualcosa cambia invece circa un decennio dopo, quando la città è visitata dall’inglese Swinburne: quest’ultimo riporta nelle sue memorie che nel 1778 il numero della popolazione di Brindisi era ritornato a circa 5’000 abitanti; non solo, Swinburne aggiunge anche un particolare non meno importante: secondo le sue fonti nel 1766 la città aveva circa 18’000 anime. Da una prima analisi, sebbene le memorie del prussiano e del britannico non sembrano affatto coincidere, è ancora Swinburne a offrire una soluzione a questo drastica riduzione demografica: infatti egli afferma che proprio in quel periodo vi furono moltissime vittime a causa delle malattie pestilenziali, e per tale ragione molti sopravvissuti scapparono dalla città. Dunque, stando a tali considerazioni, Brindisi aveva subito tra il 1717 ed il 1766 un’esponenziale crescita demografica, ma già a partire da quello stesso anno, fino alla visita di Swinburne aveva subìto un drastico calo della popolazione, ritornando ai valori iniziali del 1717. Per quanto riguarda le usanze locali, il filosofo irlandese segnala una curiosità legata alla struttura amministrativa del paese:

I magistrati (sindaco, maestro giurato, tesoriere, eccetera) vengono nominati secondo un rito particolare, ossia un bambino che tira a sorte delle palline di diverso colore nel municipio e alla presenza del governatore e del giudice, il giorno della festa della Vergine Assunta.

Lo stesso filosofo irlandese offre un aneddoto della sua breve permanenza brindisina:

Un marinaio inglese ci chiede la carità. Lavora e guadagna 12 pence al giorno. Fa a pugni con gli abitanti del paese. Vuole ad ogni costo andare a Napoli. Ci racconta che è naufragato e i suoi compagni girano per il paese. A Napoli ho saputo dei crimini di cui si sono macchiati, avendo ammazzato dei passeggeri maomettani.

Dai diversi racconti di Berkeley s’intuisce che Brindisi era ancora agli inizi del XVIII secolo un crocevia, soggetto per lo più ad influenze turche o, più generalmente, islamiche. Tale supposizione può essere dedotta da un altro aneddoto ricavato dalle sue memorie, mentre era ancora intento nel suo cammino, prima di arrivare nella città portuale:

Strada pietrosa con fossi per circa un miglio prima di giungere a Brindisi, intorno alle 21.30. La campagna che circonda Brindisi è ben coltivata a grano e vigne, me è aperta e i pochi alberi sono da frutta. La via Appia costeggia la città, costruita male, con case sparpagliate e decisamente povera. Ad Egnazia abbiamo visto un fenomeno di liquefazione, come ora a Napoli. L’abbiamo lasciata sulla sinistra per paura dei turchi.

Invece Swinburne offre un altro piccante particolare, relativo ad alcune tipiche usanze che, questa volta, riguardano il clero brindisino, o meglio i canonici regolari del duomo:

I canonici di questa cattedrale si permettono ancora l’antico uso delle ancelle; ma come loro hanno delle scelte di età e di figure in effetti canoniche, devo credere che queste sono delle caste che rappresentano delle compagne accordate al clero, ancor prima che i papi e i concili le avrebbero difese. Queste donne sono esenti dalle tasse, e godono di molti privilegi; quando loro muoiono, vengono sepolte gratis, e alla cerimonia dei funerali sono accompagnate dal capitolo, in segno di rispetto, il quale non è d’accordo nemmeno con gli stessi parenti dei canonici.

Se queste ancelle di compagnia erano esenti dalle tasse e godevano di privilegi, tuttavia anche la città poteva ritenersi agevolata, rispetto ad altre località del Regno di Napoli. In questo caso è von Riedesel che aggiunge qualche particolare:

Brindisi, in tutti i tempi, ha goduto di grandi privilegi, a preferenza di tutte le altre città del reame, nella sua qualità di porto franco, in ispecie sotto gl’imperatori di Germania, e specialmente a tempo di Federico II, privilegi che, in seguito, ha quasi tutti perduti. Ha conservato soltanto di pagare la metà della tassa, sui fuochi o sulle case, cioè ventuno carlini, invece di quarantadue, che se ne pagano in tutte le altre città del reame di Napoli.

Facciata del seminario di Brindisi, Mauro Manieri, 1720. In descrizione: All'Ill.mo Sig.re D.Raimondo de Villana Perlas Marchese di Rialto ( onnipotente ministro di Carlo VI fratello dell'arcivescovo di Brindisi ) Tra le belle Opere degne di tutte di eterna memoria che si ammirano in Brindisi,ordinate,e poste su dalla generosa pieta' di Fr. D. Paolo de Villana Perlas degnissimo fratello d V. S. Ill.ma,una tra le moltissime e' l'edifizio di un ben capace e sontuoso seminario,il disegnamento della di cui Facciata riverentemente le presenta Mauro Manieri. Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

Facciata del seminario di Brindisi, Mauro Manieri, 1720. In descrizione: All’Ill.mo Sig.re D. Raimondo de Villana Perlas Marchese di Rialto ( onnipotente ministro di Carlo VI fratello dell’arcivescovo di Brindisi ) Tra le belle Opere degne di tutte di eterna memoria che si ammirano in Brindisi, ordinate, e poste su dalla generosa pietà di Fr. D. Paolo de Villana Perlas degnissimo fratello d V. S. Ill.ma, una tra le moltissime è l’edifizio di un ben capace e sontuoso seminario, il disegnamento della di cui Facciata riverentemente le presenta Mauro Manieri.  – Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

Dalle memorie di questi viaggiatori emergono anche importanti figure di Brindisi che hanno vissuto in quel tempo. Tra le più importanti don Pasquale Rossi, vicario del duomo, e don Ortensio Leo, un nobile facoltoso, nato a San Vito dei Normanni, ed esperto in legge e appassionato archeologo5. Dunque, ecco quanto è stato testimoniato da von Riedesel:

Ho trovato a Brindisi due uomini molto versati nelle antichità: don Pasquale Rossi, vicario della cattedrale, e don Ortensio Leo, che è un privato. Ognuno di essi possiede un bel medagliere, ed il Leo ha fatto una collezione di pietre incise, tra le quali ve ne sono delle rare, e di prezioso lavoro: fra le altre, vi è un’agata onice, incisa in incavo, che rappresenta un guerriero ferito e morente, che scrive su di uno scudo, come quello Spartiata che si vede su di una pietra incisa del gabinetto del fu Barone de Stosch, che scrive, col sangue, sullo scudo, una notizia della vittoria. Il lavoro è di gran lunga superiore, e tutti i miei sforzi, per decidere don Leo a cedermela, sono riusciti vani. Uno dei suoi cugini ha scritta una bella dissertazione: delle ricerche sulla vita di M. Pacuvius, che era un parente di Ennius, e nativo di Brindisi. Si crede che egli abbia dipinto il Foro Boario a Roma; ho veduto anche, presso l’istesso dotto, un manoscritto intitolato: Messagraphia di Epifanio Ferdinando; contiene delle ricerche molto buone su l’antica Messapia e, spero, che non tarderà a pubblicarlo. […] Permettetemi una breve digressione sulla parola brindisi usata nel più puro toscano per annunziare che si beve alla salute di qualche persona . Ho pregato don Ortensio Leo di dirmi la sua opinione al proposito, non essendo soddisfatto della spiegazione che si da comunemente, giacché gli uni fan derivare quest’uso dall’abbondanza e dalla bontà del vino di Brindisi, altri, dalla tendenza dei suoi abitanti a bere, ed altri ancora, da una società che si sarebbe formata , nel secolo scorso, e che aveva introdotto l’uso di fare delle rime, all’improvviso, ad ogni bicchiere di vino che si beveva . La spiegazione che mi dette questo dotto mi pare la più naturale di tutte, per quanto si perda nella remota antichità. Ecco quanto mi disse: in tutte le contrade d’Italia sono vini buoni quanto i nostri, e dell’istessa abbondanza; né gli abitanti di Brindisi son dediti al bere, né il loro spirito ha dato l’intonazione ed ha servito di modello a quelli del resto d’Italia. Io crederei più volentieri, continuò egli, che a causa delle frequenti partenze dei Romani da Brindisi per la Grecia, dall’uso che avevano di accompagnare i loro amici e parenti fino a questo porto, o di venirli ad incontrare, dal nome, infine, del luogo, in cui si davano gli addio si facevano voti per la prosperità del viaggio, e dove si rivedevano, per la prima volta, eccetera, che si è formata questa espressione Brindisi, adoperata, in seguito, per significare tutti voti in generale, e che si è perpetuato fino ai nostri giorni per indicare le felicitazioni, che si usa fare, bevendo, per la salute delle persone, le quali ci stanno attorno.

Dopo circa 11 anni dalla visita di von Riedesel, anche Saint-Non ha la fortuna di conoscere don Ortensio Leo:

Incontriamo spesso delle medaglie o delle tombe o degli altri frammenti antichi, che possono solo essere indice di com’era riconosciuta in passato questa celebre città. Ci sediamo per vedere ancora i diversi cammei molto belli che noi abbiamo trovato qui in tempi differenti. Un ricco individuo di questa città, di nome Ortensio Leo, ha fatto in ultimo luogo con un sacco di conoscenza e di gusto, una collezione di medaglie greche che dimostrano l’antica origine di Brindisi e il quale negozio di belle arti è molto conosciuto in paese. Queste medaglie sono molto belle, lui ne aveva una in particolare con la testa di Ercole circondato dalla pelle di leone, e una testa di Nettuno con il tridente, e dall’inverso un uomo seduto su un delfino in possesso di vari oggetti, come una lira, una vittoria, un corno. Si fa risalire la sua origine a Diomede e allo stesso tempo a Teseo; i suoi compagni lo coniarono, si dice, al ritorno dalla spedizione del Vello d’oro.

Produzione economica

Veduta di Brindisi nella provincia di Otranto, A. Parboni, 1842-1845. Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

Veduta di Brindisi nella provincia di Otranto, A. Parboni, 1842-1845. – Fonte: www.vecchiaprovinciadilecce.it

Ecco dunque l’ultima sezione sulla Brindisi settecentesca, quella riguardante l’economia del paese. Si può già immaginare che in questo periodo la città, avendo un porto dismesso, non era sicuramente aperta ai grandi commerci marittimi, e ciò si rispecchia nelle diverse osservazioni fatte dai viaggiatori. L’economia si basava prevalentemente su un’agricoltura di sussistenza, che comunque garantiva alla città dei prodotti di ottima qualità (vino, olio, cotone). L’area settentrionale del paese risultava essere maggiormente produttiva rispetto a quella meridionale, tuttavia i dintorni di Brindisi erano molto ben coltivati. È von Riedesel a darci uno spunto sulla situazione agricola della città:

“Il suolo, che attornia la città è eccellente, e produce vini ed oli della migliore qualità, ed in grande abbondanza.”

Questa impressione viene confermata anche dall’abate francese:

“Quanto al suolo, al territorio che è intorno alla città, è eccellente e produce dei vini e degli olii della miglior qualità.”

Più argomentata è, invece, la riflessione dell’inglese Swinburne, il quale afferma:

Non c’è niente di più bello che del porto interiore, molto favorevole al commercio e alla navigazione. È molto profondo, si estende per due miglia e mezzo, e ha duecento piedi dentro il punto più largo. Le colline e la città sono riparate da tutte le coste. La riva nord è graziosamente coltivata e ben piantata; ma quella a sud è interamente scoperta di boschi e coperta di delinquenza. Il regno intero ne potrebbe trarre una bella situazione per il commercio, grazie al suolo e alla profondità del mare; Tuttavia non ha commercio, né agricoltura, né popolazione. […] Intorno alla città, il suolo è buono e leggero: produce dell’eccellente cotone, con il quale gli abitanti fanno dei guanti e delle calze.”


NOTE

1 Dati popolazione residente a Brindisi. Fonte Comuni Italiani.
2 George Berkeley: “Dal porto inattivo arrivano ondate di aria cattiva; pochi abitanti. […] Confrontandola con le altre città, credo che abbia quattro o cinquemila abitanti.”
3 Jean-Claude Richard de Saint-Non: “Questi impedimenti non hanno lasciato che un piccolissimo passaggio così poco profondo che a malapena le piccole barche potevano arrivare al bacino, dove l’acqua non si rinnova più, diventando una palude pestilenziale per quattro mesi dell’anno. L’apertura del canale che è appena iniziata, ed è già in stato avanzato per far entrare facilmente i vascelli, potrà finalmente garantire questo porto al commercio, e la celebrità di Brindisi, potrà diventare per Napoli quello che una volta era per i Romani.”
4 Henry Swinburne: “Il castello costruito da Federico II, che ha lo scopo di proteggere il ponte settentrionale del rifugio, è grande e magnifico. Carlo V l’ha fatto riparare. Il porto è spesso, e c’è il più bel mare Adriatico. La parte esteriore è formata da due promontori che convergono per gradi a misura che avanzano nel mare, e lasciano un piccolissimo stretto all’angolo. L’isola di San Andrea dentro la quale Alfonso I costruì la sua fortezza, è piazzata all’interno dei due ponti, e garantisce a tutta la rada una protezione dalla furia delle onde. Troviamo un ormeggio favorevole ad accogliere dei grandissimi vascelli dentro questo spazio triangolare; a fondo della baia, le colline si riuniscono in foma semicircolare lasciando il posto ad un porto interiore, che sembra abbracciare la città.”
5 Ortensio de Leo. Fonte Fondazione Biblioteca Pubblica Arcivescovile “Annibale de Leo”.


BIBLIOGRAFIA

Author: Alessio Sacquegna

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