Il dilemma della Via Francigena nel Salento

di Daniele Perrone

Nel corso dell’epoca medievale, in quasi tutti i livelli della società europea si sentiva un forte entusiasmo a marciare verso i luoghi più sacri del Cristianesimo, seguendo dei percorsi spirituali volti alla penitenza, alla devozione o, talvolta, anche alla ricerca di sacre reliquie. Uno dei tanti motivi principali correlati alla nascita ed alla diffusione di santuari e di chiese nel Medioevo è sicuramente il collegamento – o l’inserimento logistico – con e in questi importanti percorsi.
Col termine “via Francigena” (o Franchigena, o Romea) si indica un insieme di strade, primarie e secondarie, che giungevano a Roma dall’Europa centrale – in particolare dalla Francia – per poi dirigersi verso Gerusalemme o verso Santiago di Compostela (in Spagna). Tali vie, secondo alcuni documenti d’archivio dei secoli IX – X – XII, sarebbero dei veri e propri percorsi di pellegrinaggio e di fede. Tra le varie attestazioni, una molto importante è quella del vescovo Sigerico, che nel X secolo descrisse il suo percorso spirituale tra Canterbury e Roma.
Il pellegrinaggio verso Roma, infatti, era molto frequente. Roma nel Medioevo era – insieme alla Terrasanta e a Santiago di Compostela – una delle tre principali peregrinationes maiores perché, oltre ad essere la sede papale, era il luogo in cui era sepolto l’apostolo Pietro.

L'Europe di Pierre Mortier 1710ca

L’Europe di Pierre Mortier.

Da Roma, dirigendosi a sud, via era la cosiddetta “Via Francigena del Sud” poiché attraversava l’Italia centro-meridionale per dirigersi ad Oriente, verso la Terra Santa e Gerusalemme. In questo percorso, una tappa fondamentale era Benevento (Beneventum) che, oltre a rappresentare un attrezzato punto di sosta, conservava le prestigiose reliquie di San Bartolomeo, di San Mercurio, di Sant’Eliano e di numerosi altri martiri e confessori venerati nella chiesa di Santa Sofia.
Nella maggior parte dei casi, i pellegrini e i crociati seguivano le preesistenti Strade consolari di epoca romana, o almeno quel che ne rimaneva, come la Via Appia, la Via Latina-Casilina e la Via Appia Traiana. Perciò, una volta attraversato Benevento, ci si dirigeva verso il litorale Adriatico scegliendo tra due itinerari. Uno, quello considerato principale,  che si snoda attraverso le seguenti località: Celle San Vito – Troia (ovvero l’antica Aece) – Lucera – San Severo – San Marco in Lamis – San Giovanni Rotondo – Monte Sant’Angelo – Manfredonia – Barletta – Bisceglie – Molfetta – Giovinazzo – Bari – Mola – Monopoli – Torre Canne – Torre Sabina – Brindisi (Brindisium). L’ altro, importante anch’esso sotto il profilo storico-culturale, è invece quello che attraversa: Troia – Ordona – Orta Nova – Cerignola – Canosa (Canusim) – Andria – Corato – Ruvo (mutationes di Ruvo) – Bitonto (Butontos), che si ricongiunge a Bari con il primo tratto.
Importanti tappe per la Puglia erano, quindi, il Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano e di San Nicola a Bari. Ma vi erano anche altri centri minori di pellegrinaggio, come quello di Canosa (che conserva le reliquie di San Sabino), quello di Lucera (di San Bardo) e di Lesina (dei Santi Primiano e Firmiano), tutti sorti con il favore dei duchi longobardi. Scendendo verso Brindisium si potevano attraversare diversi luoghi di riferimento storico e religioso, come la chiesa di S. Apollinare (in agro di Rutigliano), San Michele in Frangesto (in agro di Monopoli), il porto di Egnazia, il sito di Seppannibale (sito tra Monopoli ed Egnazia), San Leonardo di Siponto, etc.

Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano

Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano.

A Brindisi vi era il santuario di San Leucio e, nella diramazione verso Taranto, percorrendo il prolungamento della Via Appia antica, vi era quello di Oria con i Santi Crisanto e Daria. Sempre a Brindisi, nel pavimento a mosaico del Duomo vi era una importantissima testimonianza figurativa del XII secolo che attestava la diffusione della leggenda di Roncisvalle in Italia, ma che purtroppo andò perduta in seguito ai crolli dovuti ai terremoti del 1743 e del 1858.
Ma la tappa di Brindisi, assieme a quella di Bari, era fondamentale per la presenza del suo porto rivolto ad Oriente. L’idea di raccontare i fatti della gloriosa rotta di Roncisvalle è da collegare infatti alla ricorrente presenza dei Crociati nel porto pugliese. Particolarmente importante fu anche la precettoria Templare di Brindisi, come testimonia il cosiddetto “Portico dei Templari”, una costruzione dal rigoroso impianto architettonico che consta di due arcate a sesto acuto con volte a crociera.
Un’ampia descrizione degli itinerari e delle località pugliesi la si trova in “La Via Appia Traiana nel medioevo” di Renato Stopani. Si riportano qui di seguito alcuni passaggi significativi:

Ne dà testimonianza l’ “Itinerarium Bernardi monachi Franci”, compiuto tra l’867 e l’870. Con due suoi “fratribus in devotione caritatis”, tali “Stephanus ispanus” e Teodemondo del monastero beneventano di San Vincenzo, il monaco francese Bernardo si dipartì da Roma, dopo aver ricevuto la benedizione dal papa Nicola I.
Dalle tappe menzionate nell’ “Itinerarium” (la grotta dell’Arcangelo sul Gargano, Bari e Taranto) ne inferiamo che i tre monaci, dopo aver usato la via Appia o la Latina-Casilina ed essere giunti a Benevento, dovettero seguire la direttrice dell’Appia Traiana, distaccandosene soltanto per raggiungere il Santuario di San Michele, che è detto trovarsi “sub uno lapide, super quem sunt quercus glandi”. Da Bari, definita “civica Sarracinorum” (in quegli anni faceva infatti parte di un emirato arabo costituitosi tra Puglia e Lucania), i tre pellegrini raggiunsero Taranto, dove s’imbarcarono, utilizzando l’antica via “per compendium” che raccordava l’Appia Traiana all’antico terminale della via Appia.

[…] Poi, tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, con le prime Crociate, tutto il sud d’Italia sarà investito da una intensa corrente di transiti e il sistema viario imperniato su quella che è ormai ovunque chiamata “via Francesca” o “via Francigena” si consoliderà ulteriormente e la Puglia, per il cospicuo transito di uomini e di merci facenti capo ai suoi porti, andrà assumendo il ruolo di primo intermediario tra l’Occidente e il Levante. Reso sicuro dalla “pax normanna”, il percorso erede dell’Appia Traiana diverrà l’itinerario terrestre privilegiato dai contingenti crociati per giungere ai porti pugliesi.
Nel 1095 è Pietro l’Eremita che, di ritorno da Gerusalemme, sbarca a Bari e si porta rapidamente a Roma. L’anno successivo è Fulcherio di Chartres che, assieme ad altri pellegrini, transita da Lucca, raggiunge Roma e prosegue poi sino a Bari, “civitas optima”, non solo per il suo porto, ma anche perché nel 1087, nella “Ecclesia Beati Nicholai” sono state traslate le reliquie dei vescovo di Mira e i pellegrini, prima di salpare per la Terrasanta, sono ora soliti impetrare la sua benedizione contro le insidie del mare.
Nel 1101 è il principe Guglielmo che si muove dalla Francia con il suo esercito crociato, percorre longitudinalmente tutta la penisola italiana e giunge a Brindisi, dove s’imbarca per Valona, optando anch’egli, oltre il canale d’Otranto, per il cammino più lungo attraverso la “terra Bulgariorum”. Di poco posteriore è la testimonianza dell’anglosassone Saewulf, che nella sua “Certa relatio de situ Jerusalem”, all’inizio del viaggio via mare, ricorda significativamente tutti i principali porti pugliesi.

Stopani descrive inoltre degli aspetti sociali e culturali che hanno influenzato le genti e le città pugliesi nel corso di quelle epoche:

All’inizio dell’XI secolo, la vigorosa ripresa del flusso dei pellegrini diretti in Terrasanta, assieme al successivo fenomeno delle spedizioni crociate, furono i fattori alla base della grande fioritura della vita sociale ed economica nelle aree attraversate dall’itinerario francigeno formatosi sulla direttrice dell’Appia Traiana. Grazie ai transiti sempre più intensi si animarono infatti i commerci e si verificò una rinascita della civiltà urbana che tra l’altro portò, in Puglia, all’emergere di nuovi porti. Il periodo di prosperità che ebbe inizio è ancor oggi dimostrato dalle diffuse realizzazioni dell’architettura romanica religiosa, frutto di una vera e propria gara in cui si cimentarono le città grandi e piccole, che nella costruzione delle proprie cattedrali rafforzarono il proprio sentimento di identità collettiva, testimoniando nel contempo la fede e la ricchezza delle comunità che le aveva espresse.
Non a caso nei centri portuali pugliesi le cattedrali si ubicheranno spesso ai margini degli abitati, sull’orlo della scogliera, perché costituissero un punto di riferimento per chi giungeva dal mare.

La Puglia divenne quindi un fondamentale percorso terreno per imbarcarsi verso Oriente e raggiungere la Terrasanta. Non a caso, anche la Giunta Regionale Pugliese ha approvato – con delibera n.1174 del 2013 – il riconoscimento del percorso pugliese delle “vie Francigene”. Si riportano qui di seguito alcuni tratti della Delibera (e si allega la mappa elaborata dalla Regione Puglia):

Nella storia della Puglia e del suo territorio hanno assunto un ruolo importantissimo le Vie di fede, lungo le quali per secoli si sono svolti pellegrinaggi di natura religiosa, in parte orientati a raggiungere i principali luoghi di culto del nostro territorio, in parte volti ad attraversarlo per raggiungere come meta finale Gerusalemme.
Questi cammini tuttora rappresentano un importantissimo riferimento, sia per la storia culturale 
della Puglia e le caratteristiche del suo paesaggio, sia dal punto di vista turistico, anche in considerazione del grande rilievo che stanno assumendo la mobilità lenta e il turismo spirituale.
Il territorio della Puglia è caratterizzato, tra gli altri, dal cammino della Via Francigena, che lo 
attraversa per intero per giungere fino a Brindisi, principale città di imbarco per Gerusalemme.
Il Consiglio d’Europa è l’organismo internazionale che ha promosso il programma “Itinerari Culturali Europei” e ne cura la definizione attraverso la propria Agenzia strumentale, l’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali.

[…] La Regione Puglia, che ha aderito alla Associazione Europea Vie Francigene (di seguito AEVF), Rete Portante del Consiglio d’Europa, e che ne detiene la Vicepresidenza, ritiene di dover collaborare con il Consiglio d’Europa nell’auspicabile obiettivo di ottenere il riconoscimento del tratto pugliese della Via Francigena nel Sud.
[…] Al fine di pervenire al riconoscimento europeo, si individua quale esigenza prioritaria quella di validare un tracciato ufficiale, che possa peraltro avere anche un esplicito riconoscimento come valore storico e culturale rispetto al quale vengano individuati le necessarie forme di tutela, le esigenze di messa in sicurezza e gli interventi di valorizzazione e promozione turistica. Il tracciato pugliese della Via Francigena individuato ai fini del riconoscimento da parte del Consiglio d’Europa non esaurisce la rete dei cammini della spiritualità presenti in Puglia, ma ai fini turistici e culturali viene integrato da altri cammini, principalmente il tratto della “Micaelica” verso Monte Sant’Angelo.

Vie Francigene Regione Puglia

Vie Francigene – Regione Puglia, Delibera n. 1174 del 2013.

Tuttavia questa delibera ha suscitato non poche critiche dovute all’esclusione del Salento da tale percorso. La principale motivazione è che in molti ritengono (anche da prima del riconoscimento regionale) che la via Francigena pugliese passasse anche per le località costiere di Otranto e Santa Maria di Leuca, entrambe escluse dalla Regione Puglia.
Ora, non per fare del mero provincialismo, ma le critiche a questa scelta hanno solide fondamenta. Persino la direttrice dell’Accordo Parziale tra Consiglio d’Europa e la Commissione Europea sugli Itinerari Culturali, Penelope Denu, ha espresso la necessità di ridefinire i percorsi sostenibili della vecchia via medievale.
Si pensi alla centralità che negli anni ha avuto Otranto a discapito di Brindisi. Il tratto della via Traiana ‘Calabra’, che collega Otranto a Brindisi, era ormai considerato il naturale prolungamento della Via Traiana, nonché un’importante arteria viaria per il transito locale e per i flussi militari e religiosi con l’Oriente. La fortunata ascesa di Otranto avrebbe infatti dato il nome a questa terra che, indicata dapprima come Calabria, sarebbe divenuta poi la cosiddetta Terra d’Otranto.
L’altro aspetto che dovrebbe far riflettere, inoltre, è il triste epilogo che ha avuto il porto di Brindisi e tutta la città nel medioevo. Parafrasando il mio collega Alessio Sacquegna ne “Il Grand Tour settecentesco in Terra d’Otranto (Parte Terza)”, riguardo a Brindisi si sapeva che:

Benché in epoca romana Brindisi ricopriva un importante ruolo strategico, sia sul piano militare quanto economico, la città subisce un notevole ridimensionamento durante l’età medioevale. Ciò avvenne perché il suo porto era ormai reso impraticabile, e questo perché era stato teatro di diverse battaglie, dove assedianti e assediati cercarono di bloccare con ogni mezzo l’unico accesso marittimo di Brindisi. Il risultato di queste pratiche fu assai devastante per la stessa città: se un tempo il porto era il suo fulcro economico, ben presto diventò sinonimo di disgrazia e sventura. A pagarne le conseguenze furono i suoi abitanti, poiché il bacino interno divenne ben presto una palude, arma batteriologica portatrice di ogni sorta di malattia.

In questo contesto mi sembra che sia abbastanza lecito poter affermare che Otranto abbia rappresentato per molti anni una valida alternativa portuale a Brindisi.
Ma senza soffermarci troppo sulla lamentela, vediamo più nel dettaglio gli aspetti riguardanti gli itinerari lungo l’area salentina. Innanzitutto ci viene incontro San Totonio (1080-1160) che, nella memoria del suo pellegrinaggio a Gerusalemme, fa un cenno ai centri portuali del litorale adriatico pugliese:

 “…primus portus qui dicitur Leuke [Santa Maria di Leuca], deinde portus qui dicitur Ottrente [Otranto], deinde portus de Liche [Lecce]. Deinde portus de Brandiz [Brindisi], deinde portus de Monople [Monopoli], deinde portus Sancti Nicholai de Bar” [Bari], deinde portus de Trane [Trani], deinde portus de Barlet [Barletta], deinde portus de Sipont [Siponto], deinde portus de Biste [Vieste], deinde portus de Tremuli [Termoli], qui est ultimus portus de Apulia”

Ancor più ricco di dati è il documento attestante l’itinerario del Re di Francia Filippo II Augusto che, reduce dalla terza Crociata in Terrasanta, sbarcò nel 1911 dapprima sull’isola greca di Corfù e, successivamente, ad Otranto “sextus idus Octobri”, proseguendo il viaggio di ritorno in patria via terra (“paulo ante Natale Domini”) e attraversando “civitatem episcopalem que dicitur La Liche” (ovvero Lecce), “La Petrole” (ovvero San Nicola di Petrola, porto di Ostuni), “Monople civitatem episcopalem” (Monopoli), “Bar civitatem episcopalem” (Bari), “Trane” (Trani), “Barlet” (Barletta), “Sale” (Salpi), “Sanctus Laurentius de Carminian” (San Lorenzo in Carminiano), “Truie” (Troia), fino a giungere a “Sanctus Luctredus” (Sant’Eleuterio”) dove, viene annotato, “deficit Apulia et incipit Terra laboris”.

Nella documentazione odeporica di questo periodo non è ricordato il porto del santuario di Leuca “in finibus terrae”, ma questo avrà molta più fortuna dal XIV secolo con gli itinerari marittimi. Infatti, Pietro Dalena in “Vie di pellegrinaggio nel Sud Italia verso Gerusalemme nel medioevo” descrive gli ultimi pellegrinaggi terreni e lo sviluppo di quelli marittimi:

Nel XIII secolo, il documento più cospicuo sugli itinerari in Terrasanta è costituito dall’Iter de Londinio in Terram Sanctam di Matthew Paris, compilato nel 1253 ad uso dei pellegrini diretti in Terrasanta via Roma. Il quadro viario del Mezzogiorno appare ancora incardinato sulla via Latina e sulla via Appia, tra Roma e Capua, con una maggiore frequentazione della direttrice Latina poiché passa per San Germano e Montecassino, e sulla direttrice Traiana che consente di raggiungere i porti pugliesi di Barletta, Trani “la premiere bone vile ki hon trove en Poille devers la marche d’Ancoine”, San Nicola di Bari, Brindisi e Otranto “ki est en chef de Poille” posti lungo la costa “de la mer de Venise”.
[…] Le nuove vie di pellegrinaggio (secc.XIV-XV) […]
I pellegrinaggi verso la Terrasanta riprendono nel XIV secolo sia per impulso dei francescani che, a partire dal 1303, vi si recano per visitarli e per assistere spiritualmente i prigionieri, sia per i buoni rapporti riallacciati dal sovrano cristiano Giacomo II d’Aragona con il sultano d’Egitto Al Nasir. Essi, però, seguono rotte marittime cabotando lungo le coste tirreniche e ioniche della Calabria escludendo quasi del tutto la Puglia, tranne il porto di Leuca, tradizionale santuario di Santa Maria “de finibus terrae”, meta dei naviganti che vi attraccano per i rifornimenti: nel 1351 Simone Laccavela, navigando lungo le coste tirreniche e joniche, raggiunta Crotone vira per il porto di Leuca; e Francesco Petrarca, nel suo immaginario itinerario in Terrasanta del 1358, seguendo la stessa rotta sino a Crotone e a Leuca, descrive il porto di Taranto “nascosto in un profondo recesso del mare”, ormai tagliato fuori, insieme agli altri porti pugliesi, dalle rotte e dagli itinerari dei pellegrini. E non estraneo a questa crisi del sistema viario fu anche la decadenza del sistema ricettivo e dell’attività delle domus teutoniche che all’inizio del XIV secolo mostrano chiari segni di logoramento economico e di difficoltà nel mantenere la posizione insediativa e nel conservarne l’integrità patrimoniale alimentata proprio dai pellegrinaggi.

Leuca, Santuario "De finibus Terrae"

Leuca, Santuario “De finibus Terrae”.

Da qui in poi, quindi, comincia la lenta decadenza della via Francigena nell’Italia meridionale. L’affinamento delle tecniche legate alla navigazione marittima e l’incontrastato predominio di Venezia nelle rotte dirette verso Levante, faranno di essa l’unico punto preferenziale d’imbarco per coloro che intendevano recarsi in Terrasanta.
Ma, tornando cronologicamente indietro nel tempo, si potrebbe quindi riconoscere che la Puglia – tutta, senza esclusione di luoghi – era divenuta (soprattutto a cavallo del XII secolo) il punto di partenza “naturale” per dirigersi in Terrasanta.

A rafforzare l’idea di un traffico consistente non ci sono solo gli itinerari di pellegrini e Crociati, ma anche la presenza di importanti precettorie Templari, Teutoniche e Ospitaliere che traevano benefici indotti dai suoi porti adatti ad ospitare grossi navi (Barletta, Bari, Molfetta, Manfredonia, Monopoli, Giovinazzo, Ruvo, Trani, Terlizzi, Salpi e Venosa erano delle importanti sedi templari, così come quelle di Brindisi e Lecce). In queste terre, l’Ordine aveva la possibilità di reperire localmente i vettovagliamenti con cui rifornire i “fratres” che operavano in Oriente; non a caso alcune grandi precettorie, come quelle di Lecce (Masseria San Sidero di Maglie) e di Venosa, si caratterizzarono per la loro cospicua produzione cerealicola, frutto di un’economia di tipo latifondistico che utilizzava il lavoro di salariati.
Diffuso era anche l’ordine dei cavalieri Teutonici, che aveva precettorie a Siponto, Vico Garganico, Andria, Barletta, Monopoli, Molfetta, Brindisi e Lecce.

mappa-templari-nel-salento

Mappa dei Templari nel Salento.

Masseria San Sideo Maglie - Antico tenimento templare

Masseria San Sidero (Maglie) – Antico tenimento templare.

Ma il transito di gente estera ha dato a queste terre anche un miscuglio di arte, di architettura e di tradizioni non propriamente locali. Il XII secolo costituì per la Puglia, in generale, il periodo più creativo e vitale del romanico. Gli itineraria dei pellegrini e dei reduci dalla prima Crociata che attraversarono la Puglia e la Terra d’Otranto testimoniano un pulsare di esperienze di fede collegate ai manufatti culturali e religiosi, espressi questi ultimi da moduli architettonici e filoni figurativi d’ispirazione nordica e orientale. Le cattedrali romaniche o i cicli iconografici tratti dall’epopea carolingia, come quelli di Brindisi e di Otranto, rappresentano dei validi esempi ampiamente riconosciuti.
A questo punto mi sembra doveroso parafrasare, ancora una volta, Renato Stopani in “La Via Appia Traiana nel medioevo”:

All’inizio del secolo scorso Jean Bédier dimostrò in qual misura l’organizzazione culturale dei pellegrinaggi avesse implicato la diffusione delle vicende narrate nelle “Chansons de geste”.
Le vie percorse dai pellegrini veicolarono infatti le leggende dei paladini e dei romanzi cavallereschi, tanto che non a caso nelle imprese degli eroi cristiani spesso troviamo riferimenti agli itinerari delle “peregrinationes maiores”.
Le gesta di Carlomagno e dei paladini, così come quelle di re Artù e della “materia di Bretagna” servivano nel medioevo a qualificare valori altissimi: la fede, la sete del martirio, la fedeltà a un sovrano terrestre simbolo e vicario di quello celeste. Lo stesso San Francesco soleva chiamare i suoi frati “cavalieri della Tavola Rotonda” e indicava loro il modello dei paladini, che si erano guadagnati la gloria combattendo, perché anch’essi con l’esercizio della disciplina minoritica tendessero alla gloria eterna. Dante, poi, con un’immagine di sapore feudale, definisce i pellegrini “le genti che vanno al servigio dell’Altissimo”, e considera quindi la “peregrinatio” non come un semplice atto pietistico o penitenziale, ma come un impegno di lotta per l’affermazione della Chiesa.
Naturalmente anche i percorsi che a sud di Roma portavano ai punti d’imbarco per la Terrasanta contribuirono alla diffusione delle tematiche e dei personaggi delle “Chansons de geste”. Lo testimoniano gli stessi Cantari, con i frequenti accenni che in essi troviamo ai porti pugliesi, visti come terminali degli itinerari terrestri. Così, ad esempio nella “Chevalerie d’Ogier de Danemarche”, le cui vicende si svolgono per buona parte in Italia, Carlomagno, che deve incontrarsi con il re saraceno Karaeus, compie un viaggio da Roma ad Otranto:

“Dusque a Rome, de nient ne fina;

Vint a Otrente, ou Daraeus trova.” (vv.942-943)

Prima è stato fatto un cenno sul pavimento a mosaico del Duomo di Brindisi, attestante la diffusione della leggenda di Roncisvalle su Carlo Magno, ma anche la Cattedrale di Otranto presenta delle caratteristiche analoghe. Stopani scrive ancora:

Lungo la via che nel medioevo riproponeva il percorso dell’Appia Traiana anche il territorio conserva molteplici testimonianze (di carattere toponomastico, architettonico e figurativo) che attestano la funzione svolta dalla strada in ordine alla diffusione delle storie narrate nella letteratura cavalleresca.
Personaggi delle “Chansons” sono ad esempio raffigurati, assieme a leggende arabe e a storie del Nuovo e del Vecchio Testamento, nell’ “immenso tappeto” che costituisce il pavimento a mosaico della cattedrale di Otranto, la città portuale pugliese che fu uno dei punti d’imbarco privilegiati per la Terrasanta. Concluso tra il 1163 e il 1165 l’opera venne commissionata dall’arcivescovo Jonata al prete Pantaleone, alla guida di un folto gruppo di maestranze assai esperte. Tra le numerose scene che compongono quella sorta di “koiné” culturale tra Oriente e Occidente che risulta essere il pavimento musivo, ve ne è una tratta dal “Livre d’Artus”, in cui si mostra la lotta del “rex Arturus”, armato di una grande clava, contro Losanna.

Pur essendo una raffigurazione “anomala” nel suo genere, con un Re Artù che affronta il felide Losanna in groppa ad un caprone (bestiario demoniaco) e armato solo di un bastone con pomo a palla (o da uno scettro), la sua presenza nel mosaico della Cattedrale d’Otranto indica comunque una evidente diffusione nel Salento delle tradizioni nordiche e delle vicende arturiane – che si diffondono in tutta Europa a partire dal 1170 -, tanto da farle inserire in un mosaico di epoca precedente (1163 – 1165).

Mosaico-di-Otranto-Re-Artù

Re Artù – Mosaico della Cattedrale di Otranto.

Ad attestare ancora il forte traffico religioso nel Salento ci sarebbero anche gli innumerevoli e disseminati santuari rurali che, nel corso dei secoli ed in seguito alla decadenza del XIV secolo, cominciarono a limitarsi solo nella triste funzione di servire i circuiti dei pellegrinaggi minori legati al culto di Santi patronali, con una conseguente “provincializzazione” del pellegrinaggio stesso.

Si pensi all’antico Limitone dei Greci che, nel corso dell’epoca alto-medievale e fino al XII secolo, vide l’affiorarsi di numerose chiese poste a distanze regolari.

Si pensi inoltre al pellegrinaggio “regionale” del XV secolo ordinato da Alfonso d’Aragona, re di Napoli, in seguito al cataclisma sismico del 5 dicembre 1456, meglio noto come “terremoto di Napoli”, che distrusse diverse aree del nord pugliese. All’epoca dei fatti, il re, che soggiornava a Foggia, ordinò che da ogni luogo della Puglia si muovesse una processione – con bambini vestiti di bianco – che, assieme ai preti ed al popolo, si dirigesse a Santa Maria di Leuca per chiedere penitenza alla Madonna del Santuario “Finibus Terrae“. In tale contesto, è facile intuire come tutta la Terra d’Otranto, all’epoca amministrata da Giovanni Antonio Orsini del Balzo, sia stata invasa in tutte le sue strade da diversi pellegrini in cammino per Leuca.


Non mancò nemmeno il “culto agiografo”, poggiante su fatti narrati e su veri o falsi sepolcri e/o reliquie.

SanPietro Bevagna - Torre e chiesa

San Pietro in Bevagna – Torre e Chiesa.

In tutto il Salento si narrano, ad esempio, le vicende riguardanti lo sbarco dell’apostolo Pietro del 44 d.C. Le leggende orbitanti attorno alla figura di San Pietro si trovano anche in diverse parti d’Italia e, nel loro insieme, costituiscono la cosiddetta “tradizione petrina”. Nel Salento vi è la leggenda di San Pietro in Bevagna (Manduria) che è documentata, non a caso, da fonti altomedievali. Si narra che l’apostolo Pietro naufragò nella località tarantina durante una mareggiata di scirocco e che, una volta approdato, convertì dapprima un certo signore Fellone e, successivamente, intere comunità salentine come Oria e tante altre. Annessa all’omonima torre costiera vi è ancora oggi la chiesa di San Pietro.

Centopietre_di_Patù

Le “Centopietre” di Patù.

Nel Salento ci sono poi tanti esempi di riferimento al ciclo epico carolingio, che hanno arricchito la toponomastica locale e che, quindi, testimoniano il radicamento dei temi orlandini nella memoria collettiva. Come ad esempio la “Centopietre” di Patù, costruita in età altomedievale utilizzando i blocchi megalitici della vicina città messapica di Vereto, dove la leggenda popolare narra che sia stata eretta per fungere da sepolcro ad un capitano dell’esercito di Carlo Magno (un tale Siminiano) ucciso a tradimento dai Saraceni.
Nei dintorni di Taranto esistono inoltre le cosiddette “Sorgenti di Carlo Magno”: si narra che quando il sovrano con il suo esercito “attraversava la valle dell’Idro, assetato ed esasperato per l’aridità del luogo, abbia inferto con la sua spada un colpo contro la roccia e, come per incanto, le acque zampillarono”.
Insomma, tenendo conto degli itinerari religiosi, dei fattori politici e geografici, del fermento creativo e culturale delle genti locali, nonché di quello economico, credo di aver fornito motivati suggerimenti sulla centralità che anche la Terra d’Otranto ricopriva nei traffici spirituali del medioevo. Non a caso, prima che venisse elaborato il tracciato riconosciuto dalla Giunta Regionale, la mappa pugliese della via Francigena che veniva spesso presa in considerazione era la seguente (vedi figura sotto) e seguiva il percorso della Via Appia Traina (con deviazione per il Santuario di Monte Sant’Angelo), proseguiva con la Via Traiana ‘Calabra’ e attraversava il tratto della Strada Sallentina compreso tra Otranto e Leuca.

Mappa via Francigena salento

Mappa della Via Francigena del Salento.

Concludendo e tornado alla succitata Delibera della Giunta Regionale, si evince che, con l’approvazione dei tracciati francigeni, si prevede anche l’impegno verso iniziative culturali e ambientali, nonché una serie di misure e di risorse economiche volte alla tutela, allo sviluppo e alla promozione turistica dei luoghi. Ma spero che ci sia quanto prima un ripensamento sulle aree escluse,  non tanto per una questione economica, non tanto per il fatto che una tale misura favorirebbe anche il restauro e il recupero di alcuni patrimoni fatiscenti (che è comunque una cosa importante), ma soprattutto per ridare alla Storia il suo meritato ruolo e il suo giusto peso.


Fonti:

Strada principale e strade secondarie – il caso di Carosino presso la Croce (di Angelo Campo)
Deliberazione della Giunta Regionale 1 luglio 2013, n. 1174 – Approvazione del tracciato del percorso pugliese delle “Vie Francigene”
TR NEWS 12/02/2015 – Via francigena: la giunta regionale esclude dal percorso la Provincia di Lecce
Wikipedia – Via Francigena
La Via Appia Traiana nel medioevo (di Renato Stopani)
Vie di pellegrinaggio nel Sud Italia verso Gerusalemme nel medioevo (di Pietro Dalena)
La Figura di Re Artù nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto (di Giovanni Bellisario)
Fondazione Terra d’Otranto – Le radici di un mito: Felline, Fellone e lo sbarco di San Pietro a Bevagna (I parte) – (di Nicola Morrone)
Architettura e storia medievale in Puglia tra Oriente e Occidente. Le chiese a cupola (di Giuseppe Dalfino)
Bistrò Charbonnier – Grand Tour settecentesco in Terra d’Otranto (Parte Terza) – (di Alessio Sacquegna)
Bistrò Charbonnier – La viabilità romano-messapica nel Salento

Author: Daniele Perrone

Dottore triennale in Ingegneria Civile. Appassionato di argomenti tecnico-scientifici, urbanistica, ambiente e politica pragmatica.

Share This Post On